venerdì 28 dicembre 2012
giovedì 27 dicembre 2012
parte 17.0 fine primo atto
Nonostante non volessi più
parlarle, ne sentirla, avvertivo il bisogno di vederla, magari in lontananza.
Mi appostavo quasi ogni sera dietro il club, prima che lei arrivasse e dopo,
prima che se ne andasse: volevo solamente sapere che stesse bene.
Almeno questa era scusa che usavo
per me stesso.
Una sera dopo non averla vista
entrare al Venezuelos e pensando che probabilmente era tra le braccia di
qualche bancario di merda, m’incamminai verso un percorso che prometteva bar ed
alcool, persone e bicchieri: calici pieni confacenti a colmare vite vuote.

Fanculo, due colpi ed ero già K.O..
Chi me li aveva appena tirati
sapeva il fatto suo.
Un tizio piccolo ma ben piazzato, che ricordai di averlo
già visto al club, alzandomi testa per i capelli mi intimò di farmi i cazzi
miei e di stare alla larga del Venezuelos e di chi ci lavorava. Non riuscii a
rispondere, il dolore che provavo era troppo forte.
“Hai capito quello che ti ho detto
femminuccia?”
Avrei voluto dirgli che forse era
meglio che si guardasse sempre e bene le spalle e che era stato un vigliacco a
prendermi alla schiena e che se riuscivo ad alzarmi avrei lucidato i miei
stivali prendendolo a calci in culo… e che lo avrei ucciso... ma prima che ci
riuscissi, un altro calcio mi colpi allo stomaco.
Fine del primo atto.
Fine del primo atto.
giovedì 20 dicembre 2012
parte 16.1
I vestiti lasciarono spazio alle
nostre carnagioni, ambedue ambrate: la sua tanto uniforme quanto innaturale e
la mia, che teneva vaghi ricordi del sole tropicale.
Eravamo follemente presi una
dall’altro. Le nostre essenze si mischiarono divenendo un corpo ed un anima
sola. Passione e dedizione ci condussero in un universo parallelo, in un posto dove
non esiste il male.
E ben che meno i magnacci.
Pensai che avrei comprato casa
volentieri in quel posto. Indifferentemente quanto costasse e se per pagarlo
avrei dovuto vendere l’anima, al diavolo. O a chi per lui: ne valeva assolutamente
la pena.
Sarà che il tempo è fottutamente
relativo, ma come le cose cambiano nel
giro di pochi attimi non lo capirò mai: lei accese una sigaretta, non lo faceva
mai, almeno non in mia presenza, sapeva che odiavo le sigarette, mi guardò con occhi distaccati e freddamente
disse: “Gio’, prendiamoci un po’ di tempo.”
Anche l’altro universo mi cadde addosso.
Non esistono posti in cui al
male sia negato l’accesso.
Non dissi nulla, mi misi i vestiti
tra le nuvole grigie delle sue stramaledette sigarette sottili (e piene di
merda). Uscendo, appoggiai sulla mensola dell’ingresso 50 euro, asserendo che
erano più che ottimi ed abbondati per le sue scarse e scadenti prestazioni. Non
volevo darle diritto di replica, non la guardai nemmeno, chiusi la porta con
finta cortesia. Scesi per delle scale grigie, di vani grigi, di un condominio
grigio.
Non mi ero mai accorto di quanto il grigio fosse vuoto e grigio era tutto quello che mi circondava.

Viali senza alberi e gradinate senza scalini,
albe senza luce e tramonti senza sole;
negozi pieni di cose vuote e commesse colorate dall'anima grigia.
Amari ricordi del dolce sorriso di una bocca di rosa mai stata mia.

Viali senza alberi e gradinate senza scalini,
albe senza luce e tramonti senza sole;
negozi pieni di cose vuote e commesse colorate dall'anima grigia.
Amari ricordi del dolce sorriso di una bocca di rosa mai stata mia.
Per un bel po’ tutto quello che mi circondava
diventò asettico. Ero in uno stato di anestesia che, in quel frangente di
disperazione, serviva a creare alibi emozionali.
parte 15.2
Rimasi silenzioso. Continuavo a non
capire cosa stesse succedendo.
“ Gio’ io ti amo, e questo è un sentimento
che non mi posso permettere di avere.”
“ Ci sei andata a letto?”
“ Cambia qualcosa?”
“ Certo che cambia, mi è già
difficile pensare che lo fai per lavoro… ora anche per divertimento proprio
no!”
“ Non ci sono andata a letto e non
ci ho fatto sesso, ci ho solo parlato, è uno carino sai… lavora in banca…”
“ Interessante teoria. E’ carino in
quanto lavora in banca? C’entrano sempre i soldi per te, vero? Mi verrebbe da
dire che per te con i soldi c’entra tutto!”
Presi un bel ceffone. Solitamente la
verità fa male a chi la sente, ora anche a chi l’ha detta.
Mi guardò un attimo, non riuscivo a
capire se mi odiava in quel momento o che.

Accusai il colpo, feci per
andarmene, lei mi fermò prendendomi saldamente la mano, poi mi baciò.
E non fu un bacio e basta, continuò
a farlo. Nonostante una mia iniziale
riluttanza, mi continuò a baciare, senza darmi diritto di decisione, senza
darmi respiro. Comandava lei. Io non sapevo come ribellarmi, o forse sapevo ma sicuramente
non volevo.
I baci sono l’essenza dell’amore. E
sono sinceri in quanto privi di parole.
Le parole che sono spesso fuorvianti,
a volte partono dalla pancia, altre dalla testa.I baci partono dal cuore. Gli
abbracci dall’anima. E lei mi teneva stretto fra le sue braccia.
Ed io, bisognoso di cure come un
ammalato terminale, la lasciavo fare.
Ero alla sua mercè.
Chi è alla mercè di chi.
Ero alla sua mercè.
Chi è alla mercè di chi.
Mi disse che era uno strazio solo
pensare di lasciarmi andare.
parte 15.1
Carla tornò a casa, più o meno alla
solita ora. Mi trovò sul divano.
“Ciao. Che fai sveglio?”
“ Ti aspettavo…”
“Mmm… vuoi subito la ricompensa?”
“ Carla, non prendermi per il
culo.”
“ Che stai dicendo?”
“ Dico che stanotte le stavo per
prendere e tu nemmeno c’eri”
“ No ti seguo… cosa stai
blaterando… calmati.”
“ Sono calmo! O forse no. No…non lo
sono. Ma questo non cambia. Non cambia il fatto che stanotte ero al
Venezuelos e la nera mi ha detto che non
c’eri e di andarmene! Ed uno che lavora lì mi avrebbe voluto prendere a pugni …”
“ No Nou..”
“ Che hai detto?”
“ Ho detto No Nou, il nome di quella
che tu chiami nera. Cazzo, lei ha un nome, non chiamarla nera!”
“ Cazzo lo dico io… tu al massimo
li prendi…”

Cercai di calmarmi.
“ Dov’eri? Dimmi dov’eri per
piacere.”
Ci furono alcuni attimi di
silenzio. La domanda che feci con tono pacato necessitava di una risposta
sincera.
“ Non ti appartengo Giovanni…”
Se mai il peso del mondo fosse
misurabile e quantificabile, sono certo di averlo sentito tutto tutto addosso.
Lei continuò:
“Non ti devo giustificazioni perché
non ti appartengo.”
Prese un fazzoletto di carta dalla
borsetta e si asciugò una lacrima cristallina che scendeva dall’occhio
sinistro.
“ Non posso appartenere a nessuno
Giovanni, non posso appartenere a nessun altro, perché sono già di proprietà di
qualcuno… appartengo a tre albanesi…”
Altre lacrime scesero dal suo viso.
“ Che stai cercando di dire? Che
scuse stai trovando?”
“ Dico che non mi lasceranno
andare. Mai.”
Fece una pausa.
“ Sono la loro gallina dalle uova
d’oro. Non possono lasciarmi andare via, non possono lasciare che mi innamori
di qualcuno…”
Un’altra pausa.
“ Quella è brutta gente, sarà
meglio che tu mi stia lontano.”
“Non capisco cosa c’entri tutto ciò
con il fatto che non so dov’eri questa notte.”
“ Ero con un altro uomo Gio’”
Il mondo nuovamente si fece sentire.
mercoledì 19 dicembre 2012
parte 14.4
Ordinai non so nemmeno io cosa.
Comunque era forte e la bevvi quasi tutto d’un fiato. Guardavo il palco,
cercando di far finta di niente. Fu il turno di quella che la volta prima era
una poliziotta “cattivona”. Oggi vestita in stile anni settanta, mi sembrava la
caricatura dei cugini di campagna. Prese con se la stessa donna dell’altra
volta. Strane le cose della vita pensai, non ero il solo che si fosse
innamorato di una puttana.
Era il momento buono per andarsene
senza farsi notare, le due signore al centro della scena attiravano
l’attenzione di tutti, buttafuori compresi.
Uscendo dal locale, subito fuori in
strada, un tipo basso e tarchiato mi dette una spinta che mi fece quasi cadere
a terra. Al posto delle scuse trovai parole minacciose.
“Stai attento cretino d’un ubriacone.
Cerca di andartene subito e di non tornare se non vuoi che ti faccio
irriconoscibile anche da tua madre”
“ Me ne vado. Ok.”
“ Ancora… insisti… corri o ti
prendo e ti appendo per le palle al macello… là è pieno di vacche… ci staresti
bene, vero?”
Accolsi il suggerimento. E la
sottigliezza del messaggio. Non era il momento adatto per verificare l’attendibilità
delle sue provocazioni.
Feci alcuni giri a vuoto cercando
di capire se mi seguisse qualcuno. Dopo essermi sincerato di essere da solo
andai a casa. A casa di Carla. Volevo spiegazioni. Volevo e dovevo capire. Sapevo
che alla fine volevo solo lei. Per la prima volta ebbi paura di perdere
qualcosa a cui tenevo.
parte 14.3

“ Vattene subito.”
Rimasi di stucco per quelle parole
inaspettate e senza un senso apparente. Poi conscio che già mi tenevano
d’occhio cercai di far finta di niente. Stetti al gioco instaurato. L’aiutai a togliere le sue candide vesti per lasciar
posto alla sua pelle, che, nera come il peccato, si prendeva gioco e vincita da
ciò che convenzionalmente appare come puro e immacolato: il bianco. Come il
male contro il bene. O solamente i desideri reconditi che, in quel posto ai
confini della civiltà, trionfano contro un ipocrita perbenismo.
“ Che ci fai qui? Carla non c’è.”
Un altro fulmine a ciel sereno. Mi
chiesi quante cose ancora sapeva la venere nera.
“ Vattene!“ Ribadì lapidaria, come se non fosse certa che il suo
messaggio mi fosse arrivato preciso.parte 14.2
Uscito mi diressi nuovamente verso
una meta sconosciuta non ancora stanco di scrutare sguardi e di capire, o
perlomeno giocare a capire, l’essenza delle persone. Ad un certo punto un
languore mi portò verso un buffet del centro. Dal quale usciva un odorino di
quello che era il piatto tipico, cioè carne di maiale bollita con tanti aromi e
tanto sale.

Fui l’ultimo a pagare ed a
andarmene dal buffet. Guardai nuovamente l’orologio nella speranza di un responso
migliore, ma nuovamente sentenziò che era presto. Decisi che dovevo cambiarlo,
non doveva funzionare. O era tardi o era presto, mai una volta che l’ora fosse
giusta. Giusta per me.
Se non erro, un tale dai capelli scompigliati disse che il tempo è
relativo.
parte 14.1
Quel pomeriggio Carla non tornò a
casa. Si recò direttamente al Venezuelos. Una telefonata serafica mi avvisò di
questa sua decisione:
“Ciao bello, sono io, scusami tanto,
ma non rientro a casa, sto qui da una mia amica, ha bisogno di parlare, è
parecchio giù. Poi vado diretta al night. Ci vediamo domani mattina, Ok?”
“Se ti dicessi di no, cambierebbe
qualcosa?”
“Sì, cambierebbe, domani potrei
farmi perdonare di… due cose… che dici?”
“ Allora dico che comandi tu, io
obbedisco. Così come fece Garibaldi davanti al suo Re!”
“ Non so se riuscirò a resistere
fino a domani…”
“
Mmm, io dico di sì… ciao…”
Pensai che avevo anch’io bisogno di
Carla. Sicuramente più della sua amica.
Decisi che sul tardi sarei andato
direttamente al night. Non riuscivo ad aspettare, ero convinto che Carla mi
avrebbe scelto nuovamente per la sua esposizione scenografica di un rapporto bondage.
Mi preparai con calma e non avendo voglia di cucinare solo per me, decisi per
un pasto frugale nel primo buco di locale che avesse in qualche modo attirato
la mia attenzione. Scesi in centro: avevo tempo, molto. Girovagavo senza una
meta precisa cercavo facce amiche. Guardavo vetrine e scrutavo persone. Entrai
in un negozio di biancheria intima, con l’intento a comprare un completino da donna. Il motivo che mi fece entrare in un negozio
invece che in un altro era una commessa che dalla vetrina vidi sorridente con
tutti i clienti. Non so se a sorridere erano di più le sue labbra, il suo
sguardo malizioso, o i suoi seni, che sotto una maglietta morbida, posata su
una spalla solamente, lasciava i suoi
capezzoli poco più che maggiorenni liberi di essere, di parlare e di fare
promesse. Mi feci mostrare svariati completino intimi, divertendomi a farmi
consigliare uno invece che un altro descrivendo la fisicità della mia donna.
Che per l’occasione era tale quale a lei.
Comprai uno che la commessa definì
con scarsa fantasia, ma in modo inequivocabile, completino da letto. Pensai che
un giorno, ritornando in quel negozio, avrei potuto farmi spiegare meglio cosa
intendesse. Oggi no, avevo già le idee chiare sulle spiegazioni che
necessitavo. E su chi me le doveva dare.
giovedì 13 dicembre 2012
istruzioni 3.0
All'interno del blog, come oramai tanti lettori sanno, c'è
una storia, una storia di un amore pressoché impossibile, irto di passioni
forse proprio per lo stesso motivo. La storia va letta in ordine progressivo numerico
e, siccome potrebbe essere soggetta a revisione e/o aggiunte, per comodità ho
usato un doppio sistema numerico, ovvero inizia con "parte 1.1" dove
il primo 1 sta per capitolo ed il secondo 1 sta paragrafo. E così via: parte
1.2, parte 1.3, parte 2.1, 2.2, 2.3 etc.etc..
parte 13.2
La mattina seguente Carla mi
svegliò per fare colazione. Non era mai accaduto e la cosa mi fece piacere.
“Ho voglia di fare colazione con
te, stamane. Ti ricordo che oggi dopo il lavoro mi vedo con una mia amica. Ci
vediamo stasera. Passo per casa prima del lavoro.”
“Bene, approfitterò per fare alcune
cose arretrate.”
Mentre parlavamo Carla si vestiva.
Notai, senza però farci particolarmente caso, che indossò dei abiti più belli
di quelli solitamente usati per recarsi al Call Center. Lo fece davanti a me,
pensai che era sexy non solo quando si toglieva i vestiti.

“Come sei bella ed elegante oggi.”
”Direi come sempre, non mi vedo
addosso nulla di particolare.”
“Non è vero, oggi sei più carina
del solito.”
“Non chiamarmi carina, non mi
piace, mi sembra un modo educato per non dire bruttina.”
“Assolutamente non ero ciò che
intendevo, ma non lo farò più. Tu sei molto di più di carina, sei bellissima.”
“Mi stai adulando?.”
“Assolutamente sì!”
Mi guardò ancora un attimo prima di
uscire. Un bacio fugace ed una parola che, col senno di poi, poteva voler dire
tante cose. “Scappo. Ciao”.
La vita è un continuo
trascinamento in salita, verso una vetta indistinta che come un miraggio più
strada fai, più lei si allontana. Inoltre crepacci in cui cadere, non
mancano mai. E sono sempre celati in abiti ammalianti.parte 13.1
Tornai a casa di Carla nel primo
pomeriggio. Suonai il campanello ma non rispose. Entrai con le mie chiavi. La
trovai a letto, sotto le coperte. Non dormiva. La cornice non era
apparentemente più dove l’avevo lasciata. Carla si accorse che guardavo il comò
con espressione di chi cerca con gli occhi qualcosa che non c’è. Mi capiva
sempre al volo, fin dal primo giorno, dal primo momento.
Così la capivo anch’io.
Almeno credevo.

Disse semplicemente grazie.
“Ho fatto solamente il mio dovere.”
risposi, cercando con dell’ironia di minimizzare la cosa. Mi sentivo
imbarazzato, non avevo mai scritto parole d’amore. E non ero pronto a ricevere
complimenti.
“ Sono parole bellissime, le
porterò sempre con me, nel mio cuore, qualsiasi cosa possa succedere fra di
noi”
Non feci caso alle ultime parole
che lei disse. Non lo feci perché focalizzavo le prime, ovvero su quelle che promettevano
un legame inscindibile fra un mio pensiero ed il suo cuore.
Ciò mi riempiva di
felicità. E di orgoglio.
L’orgoglio
non è altro che un vizio che prima inganna le anime e poi le divora.
“Sei l’uomo più bello del mondo e
la miglior cosa che mi potesse mai capitare. Sei il mio punto di equilibrio.”
“ No, sono solo un uomo fortunato perché
ha vicino una stella. Ma non una qualsiasi: ho vicino la stella più bella.”
Le
parole non sono immortali. La loro vita è più breve di quel che si voglia
credere.
mercoledì 12 dicembre 2012
Mentre Dormi
Mentre dormi ti proteggo
e ti sfioro con le dita
ti respiro e ti trattengo
per averti per sempre
oltre il tempo di questo momento
arrivo in fondo ai tuoi occhi
quando mi abbracci e sorridi
se mi stringi forte fino a ricambiarmi l'anima
(Max Gazzè)
e ti sfioro con le dita
ti respiro e ti trattengo
per averti per sempre
oltre il tempo di questo momento
arrivo in fondo ai tuoi occhi
quando mi abbracci e sorridi
se mi stringi forte fino a ricambiarmi l'anima
(Max Gazzè)
giovedì 6 dicembre 2012
in attesa
...
le nostre giovani anime dimorano in corpi scolpiti dalle passioni che
abbiamo vissuto.
In attesa che i segni delle passioni future completino la mappa dell'essere... (M.P.)
In attesa che i segni delle passioni future completino la mappa dell'essere... (M.P.)
mercoledì 5 dicembre 2012
parte 12.2
La fiducia nella persona e la lieve
ebbrezza mi portò a confidare a Pino la mia relazione con Carla. Era la prima
persona che ne venne a conoscenza. I miei vecchi amici di scuola che mi
portarono al Venezuelas non sapevano altro che di un mio incontrò nel privè del
locale con una biondina da brivido. Credo che non sarebbero nemmeno capaci di
riconoscerla fuori dalle vesti di Miss Downey. Né loro né altri. E questo mi
rassicurava.
“Situazione complicata.” Disse alla
conoscenza dei duplici lavori della mia donna.
“Già, ma se solo saprei spiegarti
quello che c’è fra di noi…sai, oggi le ho scritto una poesia, non avrei mai
creduto di essere capace di mettere assieme più di due parole, poi tutto d’un
getto lo scritta, per certi versi ne sono fiero. Poi penso che sia solo merito
suo. Io non ero altro che la mano scrivente. Lei, la musa.”
“Auguri, ma state attenti.”
aggiunse stringato. Se aveva del disappunto non lo fece notare. Comportamento
frutto probabilmente dell’istruzione militare che acquisì in Israele: non porre
mai domande.
D’altra parte Israele è
un paese in guerra con metà mondo. Oltre che con se stessa.
Ignoravo ancora che nel giro di due
giorni due persone diverse, che non si conoscevano, e nulla avevano in comune, ci
mettessero in guardia sull’amore che provavamo e su un viaggio affettivo in
bilico su un filo sottile che io e Carla stavamo intraprendendo.
Io e Pino ci salutammo con la
solita illusoria promessa che bisognava trovare più occasioni per quei
incontri. Visto che, ammesso ci fossimo nuovamente incontrati sulla stessa nave
da crociera, il suo ruolo impediva che si avvicinasse nemmeno lontanamente ad
un bicchiere che non fosse di acqua.
lunedì 26 novembre 2012
parte 12.1
Alle tredici avevo un impegno già
preso da alcuni giorni per un pranzo frugale con un amico, Pino Della Terra.
Pino l’ho conosciuto a bordo della
prima nave da crociera su cui sono stato imbarcato. Diventammo subito amici, merito
o causa dell’appartenenza che avevamo in comune: la stessa città natale. Era
figlio di madre israeliana e padre triestino di origine ebrea. Lui era alto e
di corporatura robusta, capelli castani e occhi chiari di ghiaccio, probabilmente discendeva da qualche
famiglia di origine tedesca o polacca. Quando era a Trieste in congedo dava una
mano al negozio di antichità del fratello, situato nel centro storico della
città. A bordo della nave, invece, si occupava di security. Sapevo che per un
certo periodo Pino aveva vissuto in Israele e che lì aveva fatto il servizio militare.

Pino vestiva con abiti che
definirei casual (termine inglese, che cerca di ridare della dignità a quei
vestiti messi a caso), era una persona che nutriva di più la sua anima che il
suo aspetto, per questo spassoso ed intelligente. Forse proprio per questo sempre
pronto ad assaporare i piaceri che la vita può offrire, nella fattispecie, le
rare volte che ci si vedeva per questi frugali pranzi, non mancavano mai alcuni
bicchieri di vino. Rigorosamente di qualità. Adorava i vini siciliani. Ne
disquisiva sempre volentieri, asserendo che i vini siciliani, se non sono di ottima
qualità sono assolutamente pessimi, senza passare per mezze misure. E senza usare
mezzi termini. Certo è che la loro alta gradazione ci conferiva ogni qual volta
una diffusa piacevolezza.
venerdì 23 novembre 2012
parte... imprecisata...
Erano le quattro e venticinque di
una notte oramai stanca e di una mattina non ancora rivelata. Le colline che
accompagnavano un’autostrada deserta che dal confine italiano di Fernetti
proseguiva in direzione della capitale Slovena prendevano forma. Natasha si
trovava a guidare la sua Alfa Mito nera, ben attenta a non oltrepassare i
limiti di velocità, anche se sapeva bene che mai a quell’ora autopattuglie
della polizia slovena si trovassero su quel tratto che lei percorreva con una
certa assiduità. Nei pressi di Lubiana, la macchina nera imbocco l’uscita per
un paesino di nome Vhrnika, per poi fermarsi in una piazza come da istruzioni
ricevute via sms. Doveva incontrare un uomo, sempre lo stesso, ma in luoghi
sempre diversi che le venivano forniti all’ultimo momento. Sì fermò e spense le
luci, era puntuale, l’uomo non c’era. Aspettò dentro l’auto, assieme a mille pensieri ed ancora più dubbi.
Era stufa, di tutto e di tutti. O di quasi tutti. Era turbata, ed il suo volto non riusciva a celarlo.
Dopo dieci minuti arrivò una Bmw,
scese un uomo di media corporatura apparentemente distinto, portava un cappotto
grigio, un cappello grigio e guanti di pelle nera. Apri il bagagliaio ne
estrasse una grossa valigia rigida tipo Samsonite, Natasha scese dall’auto e
aprì il portellone della sua Mito, l’uomo ci infilò la valigia.
“Buongiorno Natasha”
“Buongiorno signor Igor”
“Tutto bene Natasha? Ti vedo
stanca…”
“No signor Igor, tutto bene”

“Meglio così, d’altra parte sei la
puttana più ricca dell’Ucraina, di cosa ti puoi lamentare?”
Natasha non rispose, la verità fa male.
“Ah, l’altro ieri ho visto la tua
sorellina, sta crescendo bene, così come il suo seno, sta diventando proprio un
bel bocconcino.”
“Non la guardare neanche, stalle
lontano o…”
“Shhhh… fai la brava cagnetta… Ora
vai a fare quello che sai. E non preoccuparti. Non serve.”
Natasha obbedì, sapeva di non poter fare altro,
prese la strada del ritorno.
L’uomo la guardò impassibile
andarsene, poi estrasse dal suo cappotto un telefonino, fece velocemente un
numero, rispose una segreteria telefonica:
“la corriera ha esaurito la
benzina.”
Poi spense il cellulare estraendo
batteria e sim, buttandoli poi in un cassonetto adiacente.
Natasha si stava asciugando le
lacrime mentre guidava spingendo sull’acceleratore e portando la macchina
attorno ai 180
chilometri l’ora. Incurante di quei limiti che fino a
poco fa stava perfettamente attenta, come se voleva essere fermata. Prese il
cellulare fece il numero della persona di cui era innamorata. Pensò ai consigli
dati appena qualche giorno prima alla sua collega Carla e pensò quanto sia
facile dispensare pillole di verità e quanto sia difficile ingoiarle.
Dall’altro capo una voce di donna.
“Pronto?”
“Tesoro, sono io…”
“Natasha… che ora è? Che cosa
succede?”
“Volevo sentire la tua voce, mi
manchi…”
“Sono le cinque meno dieci, non mi
chiami solo per sentire la mia voce…mi fai preoccupare.”
Devi
preoccuparti.
“Tutto bene se ti vedo… “
“Allora dammi il tempo di indossare
qualcosa. Fra trenta minuti al solito posticino nostro, ok?”
Non
perdere tempo a vestirti…
“Sì tesoro, va benissimo… ti amo…”
“ A fra poco zuccherino mio”
Arrivò per prima una pattuglia
della polizia del reparto di Opicina. Dalla volante scesero tre agenti, dall’altra
parte tre ciclisti, un’Alfa Mito nera e un cadavere.
martedì 13 novembre 2012
autunno

Anche quest'anno come l'altro e l'altro ancora il sole va calando, si accorciano le giornate mentre la nostra ombra si allunga e si fa pesante, il carico da sopportare aumenta come aumentano i fagotti sulle spalle per proteggerci dal freddo e per tenere dentro quel tepore di un’estate passata un’altra volta per sempre.
La fatica e le difficoltà non concedono la possibilità di capire che l’unica strada utile per seguire la ragione è abbandonarsi a una corsa sfrenata sul cammino della follia.
lunedì 12 novembre 2012
parte 11.1
Carla mi chiese conferma di ciò che
provavo per lei. Ero come in difficoltà, dirle che l’amavo mi sembrava, per
quanto veritiero, dozzinale. Volevo dire molto di più, ma non mi uscivano le
parole giuste. Mi chiese allora di scriverle qualcosa, forse così mi sarebbe
stato più facile.
Il giorno dopo le scrissi un
biglietto a mano, su una carta pergamenata, poi comprai una piccola cornice di
ceramica di una contessa altoatesina, da porre su un piano. Ci infilai dentro queste parole:
Potrei dirti che ti voglio bene, ma
mi appare poco,
potrei dirti che ti adoro, ma non è
abbastanza,
potrei dirti che ti amo, ma te l’ho
già detto,
o dirti che mi sembra di
respirarti,
e poi di essere l’aria che entra nel
tuo corpo.
Come se tu fossi all’interno di me
e poi io dentro di te.
Ma preferisco che tu, guardandomi
negli occhi,
possa scoprire questo e quanto
altro ancora provo,
che non so dire
e che non so scrivere,
perché non esistono le parole.
Preparai il tutto in una mattina
soleggiata che lasciava intravedere la possibilità che presto sarebbe arrivata
la primavera. Mi sembrava, forse, anche per questo motivo meteorologico la
giornata giusta per farlo. Arrivava la primavera, ovunque. Lasciai la cornice e
le mie parole sul comò, in camera da letto. Non le anticipai nulla, volevo assaporare
la sua reazione naturale. Non forzata da un annuncio.
parte 10.3

La Buoilabaisse poteva
aspettare, ero certo che di suo non avrebbe avuto nulla da ridire.
Ci perdemmo uno nel corpo
dell’altra. Era un gioco diverso dalle altre volte. Era un gioco fatto di baci
ed abbracci. Di carezze e di tenerezze. Di parole e di confessioni, quelle che
si fanno agli amati, quelle che alcuni dicono per circostanza, ma nuove per noi
e soprattutto affatto scontate.
Ricordo che alla radio passò una
nuova canzone di una bianca promessa della musica soul, Adele. Quella musica,
ogni volta che la risento, mi riconsegna a quel momento. Fu il giorno più bello
passato con lei che io possa rammentare.
venerdì 19 ottobre 2012
parte 10.2
Camminando senza una direzione, e passando
per vie e piazze dai nomi di eroi italiani e dalle fragranze di piatti
asburgici, Carla si ritrovò in quello che ora viene chiamato Molo Audace, ma che una
volta, prima che approdasse il cacciatorpediniere italiano che ne diede il nome
alla fine della prima guerra mondiale, era conosciuto come Molo San Carlo.
Guardò i gabbiani librarsi nel
cielo sfruttando le correnti del vento. Invidiò quei uccelli liberi e candidi,
che anche nei giorni dove la bora soffia forte, non cadono mai. Avrebbe voluto spiccare anch’essa il volo. O forse solamente buttarsi dal quel molo in fronte
ad una delle piazze più belle che esistano sul mare, e nel mare affondare. Velocemente,
divorata da Nettuno. Confidando che il macigno portato dentro facesse il suo
dovere.
Nuovamente le squillò il cellulare,
le voci di Shakira e di Pitbull la reclamavano per conto di qualcun altro.
Questa volta rispose.
“Carla, dove sei? E’ tardi e ti
stavamo aspettando… io e la
Bouilbaisse.” Incolpai così la zuppa di
pesce della mia gelosia e delle paure che mi facevo, non vedendola arrivare.
“Ora arrivo, ho avuto un
contrattempo sul lavoro…in ufficio. Ti amo, e mi manchi bell’uomo.”
“ Ti adoro splendida fanciulla.”
Ci salutammo velocemente con la sua
promessa che sarebbe arrivata il prima possibile.
Non lo so bene il perché, ma
qualcosa mi suonava strano, fosse solo per il motivo che non lo aveva finora
mai fatto, o forse perché non capivo che genere di contrattempo potesse avere
una telefonista. Ma tant’è, mi fidavo di lei. Non avevo motivo di dubitare
delle sue parole. O non mi sentivo il diritto di farlo, ci conoscevamo da poco
e conoscevo tutti i suoi segreti. Soprattutto quelli inconfessabili.
lunedì 1 ottobre 2012
parte 10.1
Carla non andò a casa. Iniziò a
girovagare senza una meta. Non aveva ancora capito tutto il senso di quello che
le era appena stato detto. Ed aveva bisogno di riflettere. La sua vita si trovò
d’un tratto ad un bivio, tra ciò che voleva lei e quello che altri volevano per lei. Tra l’incognita di una nuova emozione e la sicurezza di un’abitudine a
cui era educata a sottostare, per vivere o solo per sopravvivere. Tra il buio schietto dell’ignoto e la luce artificiale
dell’abitudine.

I suoi pensieri spaziavano dalla
sua infanzia ed alle attenzioni dei suoi genitori, al giorno che conobbe
Natasha ed il Venezuelas, per arrivare al suo primo bacio francese dato ad un
buffo compagno di classe in seconda media ed all’ultimo dato, quella mattina, sulla
guancia dell’uomo che amava, lievemente per non svegliarlo.
Pensieri concatenati, come se
avessero un filo conduttore, in cerca di uno scopo. O di un perché.
Le sembrò che la sua vita fosse al
pari di una fiaba: lei prigioniera in una torre, messa lì da mamma e papà e
guardata a vista da un perfido drago. Aspettando che il principe azzurro giungesse
a salvarla.
Invece è arrivato Shrek… osservò. Mentre
un accenno di sorriso apparve e subito scomparve sulle sue labbra secche per il
freddo e prive di quel rossetto che invece eccedeva di notte.
Infatti, la prima volta che vide e
conobbe Giovanni, probabilmente per il modo di muoversi e di porsi, lo
immedesimò a quella figura burlesca e goffa di quel cartone della Dreamworks.
Ed i suoi amici ricordavano per qualche analogia ciuchino. L’asinello amico
fedele di Shrek. Pensandoci bene, ricordavano ciuchino solamente in quanto erano
tutti ciucchi… riconsiderò Carla.
Le ritornò a mente il primo giorno
di lavoro al night, prima dell’esibizione Almir le disse che le donne belle
come lei sono un capolavoro d’arte e come l’arte c’è chi la sa fare e chi la sa
vendere. Lui la sapeva vendere, bene. E lei era la sua tela; la sua ballerina
di Degas. Parole rimaste indelebili nella sua mente che l’hanno lasciata
intimorita, soprattutto perché dette con uno sguardo ferreo che Almir ostentava
nelle sue parole che non ammettevano diritto di replica.
In merito, rammentò, con un brivido
freddo lungo la schiena, le parole del professore d’arte del liceo: l’arte e la
merda sono simili, c’è sempre qualcuno che la vende e c’è sempre qualcuno che la compra. E spesso sono
confuse tra di loro.
Riecheggiarono anche le parole
di Natasha sugli uomini che
frequentavano il locale, “ Sono persone fragili, con la paura di dichiarare
tutto l’amore che hanno e provano, per il terrore di non essere corrisposti. Proprio per ciò, essi trovano rassicurante pagare per amare ed essere
amati. E’ proprio come il titolo di dottore che tu hai conseguito: esercitiamo
un ruolo che può essere considerato tra lo psicologo e l’assistente sociale.”
Ma che dell’argomento nessun
docente non aveva mai né accennato, né tantomeno preparato alcun laureando.
Carla avvertì un vuoto dentro. Rifletté
a come mai se il vuoto non pesa si sentisse un macigno nello stomaco.
Nel frattempo squillò il suo
cellulare, ma lei presa da invadenti pensieri non se ne accorse nemmeno. O non
gli diede credito.
martedì 25 settembre 2012
riflessioni sottosopra
Questo blog è nato per gioco, o meglio per mettermi in gioco, volevo vedere se riuscivo tecnicamente a farne uno. E volevo sapere se qualcuno avesse mai perso tempo a leggermi. Il tema dello stesso sono i sentimenti e le passioni, spesso non corrisposti, e se corrisposti qualcosa o qualcuno è sempre pronto a contrapporsi. A volte il tempo, a volte le situazioni, a volte niente; ma un niente che come un vuoto d'aria aspira tutto a se portando via ciò che conta. O da ciò che conta. Ma poi cosa conta? Conta solo quello che ci fa soffrire? Conta solo quello che non possiamo avere? O conta solo l'orgoglio. L'orgoglio che divora le anime o l'orgoglio che manda tutto a puttane? Poi le puttane chi sono? Quelle che vendono il loro corpo per darti cinque minuti di felicità o quelle che per darti cinque minuti di felicità ti fanno (s)vendere l'anima?
Se risposte certe non esistono, bisogna però ricordare, per evitare di essere presi sul serio, che le domande sono solo finzione teatrale. Nessuno me ne abbia.
E nessun dorma...
Se risposte certe non esistono, bisogna però ricordare, per evitare di essere presi sul serio, che le domande sono solo finzione teatrale. Nessuno me ne abbia.
E nessun dorma...
- Dilegua, o notte!... Tramontate, stelle!...
- All'alba vincerò!...
parte 9.2
“La mia vita privata non gli deve
interessare.” Disse Carla con tono seccato, non tanto per Natasha, ma per
l’evidente ingerenza del suo angolino di vita privata da parte dei suoi datori
di lavoro notturno.
“Non è così, mio cuore.”
“Accidenti se è così”
“No! Non lo è. Tu sei la loro
gallina dalle uova d’oro.” Accentuò volutamente “la loro”.
Nessuno aveva mai indicato Carla
come gallina, la cosa non le piacque. Ed il suo sguardo lo rivelò chiaramente.
“Cuore mio, prova a capire… pensa a
quanti clienti vengono lì per te, solo per te, sei la più bella. Sei diversa da
tutte le altre, hai qualcosa in più, hai quella sensualità misto a purezza e
quell’ ingenuità che piace agli uomini. Sai di acerba, sembri una mela ancora
da cogliere. Tutti vogliono credere di essere i primi a cogliere il tuo
frutto.”
Carla, se da una parte si sentì
lusingata per quelle parole, dall’altra si sentì infastidita. Il motivo era comunque
lo stesso e Natasha aveva maledettamente ragione.
Carla continuò a prestare
attenzione in silenzio.
“Tacos asseriva che da un po’ di
tempo non sei più la stessa, che Miss Downey non attizza più. I clienti cercano
altre. Ma soprattutto che sia tu non cercare loro.”

Il rombo del passaggio di una moto
elaborata interruppe la frase per un attimo. Tempo per dare a Carla il pensiero
sfuggente di come e quanto Natasha ne sapesse sulle tossine.
“ E poi quelli lì sono capaci di
tutto. Lo sai bene. Dovete stare attenti. ”
Poi sottovoce, fra se e se,
aggiunse: “Dobbiamo stare attente.”
“Va bene Natasha, ci penserò su.
Grazie per tutto quello che stai facendo per me. Sei una brava persona. Ti
voglio bene. Ora, se non hai altro da dirmi andrei a casa.”
Lo disse in modo spicciolo in parte
perché voleva separarsi da chi l’aveva gettata nella fossa di quei leoni
chiamati dilemmi ed in parte pensando a Giovanni che l’aspettava.
La collega di Lap Dance arrivata
dall’Ucraina, venuta in cerca di vita migliore di quella lasciata alle spalle, in
un paese alla periferia dell’Europa, che per ironia della sorte è anche il
significato del suo nome, abbracciò forte Carla. Poi solo con lo sguardo la
salutò, cambiando subito marciapiede dirigendosi altrove: doveva darle spazio,
in modo che potesse elaborare quelle sue
parole.
lunedì 24 settembre 2012
parte 9.1

Natasha non era solo una sua
collega, era la sua migliore amica del club: quella che fin dal primo giorno
l’aveva aiutata, seguita e consigliata. Rincuorata all’occorrenza. La
conosceva, bene e se lei diceva che era urgente lo doveva essere sicuramente.
Carla scese le scale ed uscì dall’edificio rosso mattone,
una volta sede di una rinomata società produttrice di liquori, ora sede di una Società
di assicurazioni.
Natasha era lì, la stava
aspettando, sembrava visibilmente preoccupata.
“ Ciao mio cuore” disse Natasha
abbracciandola.
“ Che bella sorpresa che mi hai
fatto. E’ bello vederti fuori dal lavoro.”
“Non ho voluto venire, ho dovuto”
“Natasha, mi fai preoccupare.”
“ Mio cuore, ti devi preoccupare.”
Natasha parlava sempre così con tutti, era un suo intercalare,
indifferentemente se si rivolgesse ad un uomo o ad una donna.
“ Andiamo a prenderci un caffè. Non
posso rimanere qui sotto, sapessi che storia ho dovuto raccontare per andarmene
prima. Per certi versi sono più controllata qui che giù al locale da Tacos…”
“Andiamo, ma restiamo all’aperto.
Quello che ho da dirti è meglio che non lo senta nessuno.”
Si incamminarono. Carla guardava la
sua collega ed amica con preoccupazione misto a stupore, non capiva cosa le
stava per cadere addosso.
“Vedi, stamane, sono tornata al
locale, ieri avevo dimenticato lì il telefonino. Mi faccio sempre gli affari
miei, ma questa volta ho sentito qualcosa che proprio non avrei voluto sentire.
Lo sai che ti voglio un mondo di bene… ti considero come una sorella… ti devo
raccontare tutto.”
“Natasha, ti voglio bene anch’io e
mi preoccupo per te. Non metterti in situazioni di cui poi non sai come
uscirne.”
“Mio cuore, devi stare attenta,
Tacos parlava con Almir di te, dicevano che ti vedi con qualcuno e da troppo
tempo”.
Almir, era la mente del Venezuelas,
un metro e ottantasette di altezza,
corporatura apparentemente esile, capelli corti e brizzolati, barba incolta e portamento
signorile, colui che risolveva tutti i problemi logistici: dal pagare le
fatture a foraggiare i poliziotti. Era una persona colta, e per questo più pericolosa.
Dimostrava sempre una efferata lucidità criminale. Si diceva fosse laureato a
pieni voti in legge all’Università di Tirana, che avesse un Master in
criminologia conseguito a Londra in collaborazione con Scotland Yard e non di
meno che per un certo periodo fosse stato un funzionario del Sigurimi, la
polizia segreta albanese, durante la dittatura comunista.
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