giovedì 20 dicembre 2012

parte 16.1



I vestiti lasciarono spazio alle nostre carnagioni, ambedue ambrate: la sua tanto uniforme quanto innaturale e la mia, che teneva vaghi ricordi del sole tropicale.
Eravamo follemente presi una dall’altro. Le nostre essenze si mischiarono divenendo un corpo ed un anima sola. Passione e dedizione ci condussero in un universo parallelo, in un posto dove non esiste il male.
E ben che meno i magnacci.
Pensai che avrei comprato casa volentieri in quel posto. Indifferentemente quanto costasse e se per pagarlo avrei dovuto vendere l’anima, al diavolo. O a chi per lui: ne valeva assolutamente la pena.

Sarà che il tempo è fottutamente relativo,  ma come le cose cambiano nel giro di pochi attimi non lo capirò mai: lei accese una sigaretta, non lo faceva mai, almeno non in mia presenza, sapeva che odiavo le sigarette, mi guardò con occhi distaccati e freddamente disse: “Gio’, prendiamoci un po’ di tempo.”  
Anche l’altro universo mi cadde addosso. 
Non esistono posti in cui al male sia negato l’accesso.
Non dissi nulla, mi misi i vestiti tra le nuvole grigie delle sue stramaledette sigarette sottili (e piene di merda). Uscendo, appoggiai sulla mensola dell’ingresso 50 euro, asserendo che erano più che ottimi ed abbondati per le sue scarse e scadenti prestazioni. Non volevo darle diritto di replica, non la guardai nemmeno, chiusi la porta con finta cortesia. Scesi per delle scale grigie, di vani grigi, di un condominio grigio.
Non mi ero mai accorto di quanto il grigio fosse vuoto e grigio era tutto quello che mi circondava.

Viali senza alberi e gradinate senza scalini,
albe senza luce e tramonti senza sole;
negozi pieni di cose vuote e commesse colorate dall'anima grigia.
Amari ricordi del dolce sorriso di una bocca di rosa mai stata mia.  


Per un bel po’ tutto quello che mi circondava diventò asettico. Ero in uno stato di anestesia che, in quel frangente di disperazione, serviva a creare alibi emozionali.

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