Nonostante non volessi più
parlarle, ne sentirla, avvertivo il bisogno di vederla, magari in lontananza.
Mi appostavo quasi ogni sera dietro il club, prima che lei arrivasse e dopo,
prima che se ne andasse: volevo solamente sapere che stesse bene.
Almeno questa era scusa che usavo
per me stesso.
Una sera dopo non averla vista
entrare al Venezuelos e pensando che probabilmente era tra le braccia di
qualche bancario di merda, m’incamminai verso un percorso che prometteva bar ed
alcool, persone e bicchieri: calici pieni confacenti a colmare vite vuote.
Ero appena uscito da un bar nel
centro del ghetto della città e mentre mi avviavo verso una taverna lì nelle
vicinanze, mi ritrovai con la faccia a terra senza aver avuto nemmeno il tempo
di capire che stavo cadendo, non ero inciampato di sicuro, quindi qualcuno mi
aveva spinto giù, appena balenai questa idea, sentii una fitta secca sul
fegato. Capii che si trattò di un calcio, solamente quando il secondo mi colpi
la mascella.
Fanculo, due colpi ed ero già K.O..
Chi me li aveva appena tirati
sapeva il fatto suo.
Un tizio piccolo ma ben piazzato, che ricordai di averlo
già visto al club, alzandomi testa per i capelli mi intimò di farmi i cazzi
miei e di stare alla larga del Venezuelos e di chi ci lavorava. Non riuscii a
rispondere, il dolore che provavo era troppo forte.
“Hai capito quello che ti ho detto
femminuccia?”
Avrei voluto dirgli che forse era
meglio che si guardasse sempre e bene le spalle e che era stato un vigliacco a
prendermi alla schiena e che se riuscivo ad alzarmi avrei lucidato i miei
stivali prendendolo a calci in culo… e che lo avrei ucciso... ma prima che ci
riuscissi, un altro calcio mi colpi allo stomaco.
Fine del primo atto.
Fine del primo atto.
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