martedì 25 settembre 2012

riflessioni sottosopra

Questo blog è nato per gioco, o meglio per mettermi in gioco, volevo vedere se riuscivo tecnicamente a farne uno. E volevo sapere se qualcuno avesse mai perso tempo a leggermi. Il tema dello stesso sono i sentimenti e le passioni, spesso non corrisposti, e se corrisposti qualcosa o qualcuno è sempre pronto a contrapporsi. A volte il tempo, a volte le situazioni, a volte niente; ma un niente che come un vuoto d'aria aspira tutto a se portando via ciò che conta. O da ciò che conta. Ma poi cosa conta? Conta solo quello che ci fa soffrire? Conta solo quello che non possiamo avere? O conta solo l'orgoglio. L'orgoglio che divora le anime o l'orgoglio che manda tutto a puttane? Poi le puttane chi sono? Quelle che vendono il loro corpo per darti cinque minuti di felicità o quelle che per darti cinque minuti di felicità ti fanno (s)vendere l'anima?
Se risposte certe non esistono, bisogna però ricordare, per evitare di essere presi sul serio, che le domande sono solo finzione teatrale. Nessuno me ne abbia.
E nessun dorma...

Dilegua, o notte!... Tramontate, stelle!...
All'alba vincerò!...

parte 9.2



“La mia vita privata non gli deve interessare.” Disse Carla con tono seccato, non tanto per Natasha, ma per l’evidente ingerenza del suo angolino di vita privata da parte dei suoi datori di lavoro notturno.
“Non è così, mio cuore.”
“Accidenti se è così”
“No! Non lo è. Tu sei la loro gallina dalle uova d’oro.” Accentuò volutamente “la loro”.
Nessuno aveva mai indicato Carla come gallina, la cosa non le piacque. Ed il suo sguardo lo rivelò chiaramente.
“Cuore mio, prova a capire… pensa a quanti clienti vengono lì per te, solo per te, sei la più bella. Sei diversa da tutte le altre, hai qualcosa in più, hai quella sensualità misto a purezza e quell’ ingenuità che piace agli uomini. Sai di acerba, sembri una mela ancora da cogliere. Tutti vogliono credere di essere i primi a cogliere il tuo frutto.”
Carla, se da una parte si sentì lusingata per quelle parole, dall’altra si sentì infastidita. Il motivo era comunque lo stesso e Natasha aveva maledettamente ragione.
Carla continuò a prestare attenzione in silenzio.
“Tacos asseriva che da un po’ di tempo non sei più la stessa, che Miss Downey non attizza più. I clienti cercano altre. Ma soprattutto che sia tu non cercare loro.”
“ Ascolta la tua amica, ascolta chi ha già passato quello che ora stai provando tu. Lascia quell’uomo, l’amore è solo reazioni chimiche, così come chimiche sono le tossine e come le tossine fa male, è una malattia, una piaga. Non siamo fatti per amare. L’amore porta  più sofferenza che felicità.”
Il rombo del passaggio di una moto elaborata interruppe la frase per un attimo. Tempo per dare a Carla il pensiero sfuggente di come e quanto Natasha ne sapesse sulle tossine.
“ E poi quelli lì sono capaci di tutto. Lo sai bene. Dovete stare attenti. ”
Poi sottovoce, fra se e se, aggiunse: “Dobbiamo stare attente.”
“Va bene Natasha, ci penserò su. Grazie per tutto quello che stai facendo per me. Sei una brava persona. Ti voglio bene. Ora, se non hai altro da dirmi andrei a casa.”
Lo disse in modo spicciolo in parte perché voleva separarsi da chi l’aveva gettata nella fossa di quei leoni chiamati dilemmi ed in parte pensando a Giovanni che l’aspettava.


La collega di Lap Dance arrivata dall’Ucraina, venuta in cerca di vita migliore di quella lasciata alle spalle, in un paese alla periferia dell’Europa, che per ironia della sorte è anche il significato del suo nome, abbracciò forte Carla. Poi solo con lo sguardo la salutò, cambiando subito marciapiede dirigendosi altrove: doveva darle spazio, in modo che  potesse elaborare quelle sue parole.
 

lunedì 24 settembre 2012

parte 9.1



Carla ricevette un sms: “Ti devo parlare. Urgente, sono sotto il tuo lavoro.” era Natasha, una sua collega del Venezuelas. Mancava ancora un’ora alla fine del suo turno: Carla si recò dal suo capo domandando un permesso. Sapeva che non era solito darne. Quindi sfoderando una faccia desolata e adducendo che la madre stava molto male chiese di lasciare anticipatamente il lavoro.
Natasha non era solo una sua collega, era la sua migliore amica del club: quella che fin dal primo giorno l’aveva aiutata, seguita e consigliata. Rincuorata all’occorrenza. La conosceva, bene e se lei diceva che era urgente lo doveva essere sicuramente. Carla scese le scale ed uscì dall’edificio rosso mattone,
una volta sede di una rinomata società produttrice di liquori, ora sede di una Società di assicurazioni.
Natasha era lì, la stava aspettando, sembrava visibilmente preoccupata.
“ Ciao mio cuore” disse Natasha abbracciandola.
“ Che bella sorpresa che mi hai fatto. E’ bello vederti fuori dal lavoro.”
“Non ho voluto venire, ho dovuto”
“Natasha, mi fai preoccupare.”
“ Mio cuore, ti devi preoccupare.” Natasha parlava sempre così con tutti, era un suo intercalare, indifferentemente se si rivolgesse ad un uomo o ad una donna.
“ Andiamo a prenderci un caffè. Non posso rimanere qui sotto, sapessi che storia ho dovuto raccontare per andarmene prima. Per certi versi sono più controllata qui che giù al locale da Tacos…”
“Andiamo, ma restiamo all’aperto. Quello che ho da dirti è meglio che non lo senta nessuno.”
Si incamminarono. Carla guardava la sua collega ed amica con preoccupazione misto a stupore, non capiva cosa le stava per cadere addosso.
“Vedi, stamane, sono tornata al locale, ieri avevo dimenticato lì il telefonino. Mi faccio sempre gli affari miei, ma questa volta ho sentito qualcosa che proprio non avrei voluto sentire. Lo sai che ti voglio un mondo di bene… ti considero come una sorella… ti devo raccontare tutto.”
“Natasha, ti voglio bene anch’io e mi preoccupo per te. Non metterti in situazioni di cui poi non sai come uscirne.”
“Mio cuore, devi stare attenta, Tacos parlava con Almir di te, dicevano che ti vedi con qualcuno e da troppo tempo”.


Almir, era la mente del Venezuelas,  un metro e ottantasette di altezza, corporatura apparentemente esile, capelli corti e brizzolati, barba incolta e portamento signorile, colui che risolveva tutti i problemi logistici: dal pagare le fatture a foraggiare i poliziotti. Era una persona colta, e per questo più pericolosa. Dimostrava sempre una efferata lucidità criminale. Si diceva fosse laureato a pieni voti in legge all’Università di Tirana, che avesse un Master in criminologia conseguito a Londra in collaborazione con Scotland Yard e non di meno che per un certo periodo fosse stato un funzionario del Sigurimi, la polizia segreta albanese, durante la dittatura comunista.

 

giovedì 6 settembre 2012

pezzi di puzzle


Mi disse che eravamo fatti uno per l'altro, la guardai con lo sguardo di chi pur condividendo il pensiero desiderava la spiegazione. La sua spiegazione. Lei, vestita solamente di sfuggenti lenzuola, con sguardo amorevole ed appagato mi disse che avevo la misura giusta per lei. Per la sua conformazione, per la sua fisicità. La cosa mi piacque, in fondo nessuno per farmi un complimento mi aveva mai detto che ero il suo pezzo di puzzle mancante. 

Quella che poi fu l'ultima volta che l'ho abbracciata, mi accorsi di quanta ragione avvesse. Sentì che le mie braccia si posavano e si sposavano perfettamente sulla sua schiena: eravamo due pezzi di puzzle.