giovedì 13 dicembre 2012

parte 13.1



Tornai a casa di Carla nel primo pomeriggio. Suonai il campanello ma non rispose. Entrai con le mie chiavi. La trovai a letto, sotto le coperte. Non dormiva. La cornice non era apparentemente più dove l’avevo lasciata. Carla si accorse che guardavo il comò con espressione di chi cerca con gli occhi qualcosa che non c’è. Mi capiva sempre al volo, fin dal primo giorno, dal primo momento. 
Così la capivo anch’io. 
Almeno credevo.
Fece cenno di avvicinarmi e appena fui ai piedi del letto mi mostrò che teneva stette quelle incorniciate parole a se, vicine al suo seno e vicine al suo cuore.
Disse semplicemente grazie.
“Ho fatto solamente il mio dovere.” risposi, cercando con dell’ironia di minimizzare la cosa. Mi sentivo imbarazzato, non avevo mai scritto parole d’amore. E non ero pronto a ricevere complimenti.
“ Sono parole bellissime, le porterò sempre con me, nel mio cuore, qualsiasi cosa possa succedere fra di noi”
Non feci caso alle ultime parole che lei disse. Non lo feci perché focalizzavo le prime, ovvero su quelle che promettevano un legame inscindibile fra un mio pensiero ed il suo cuore. 
Ciò mi riempiva di felicità. E di orgoglio.
L’orgoglio non è altro che un vizio che prima inganna le anime e poi le divora.
“Sei l’uomo più bello del mondo e la miglior cosa che mi potesse mai capitare. Sei il mio punto di equilibrio.”
“ No, sono solo un uomo fortunato perché ha vicino una stella. Ma non una qualsiasi: ho vicino la stella più bella.”
Le parole non sono immortali. La loro vita è più breve di quel che si voglia credere.

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