giovedì 16 agosto 2012

ciao mamma ( mi basterebbe una telefonata )

Ciao mamma, volevo raccontarti di una cosa, non so se ne sarai fiera. Ma come ogni cosa non c'è mai una sola verità, c'è sempre un risvolto. E' come tu mi hai insegnato: non c'è mai un male se non c'è anche un bene.
Sapessi quante volte penso a queste tue parole. Quanto vere sono e quanta ironia a volte contengono. Comunque, a ripensarci forse di qualcosa sarai fiera,  forse di tutto. O forse di nulla.
Mi sono sempre accorto di quanto io fossi per te un libro aperto. E non so se tu ti sei accorta di quanto io me ne accorgevo... scusa il gioco di parole... ho sempre apprezzato la tua non ingerenza. Oggi però avrei bisogno di una tua parola...
Di cosa? Beh se stai leggendo queste poche righe sai anche tutto il resto...

PS: Ti chiedo scusa, ho sempre pensato che tu sapessi quanto ti volevo bene e mi accorgo troppo tardi di quanto poco te l'ho detto.

martedì 7 agosto 2012

parte 8.1


Era un lunedì mattina e mi svegliai nel suo letto, lei era già andata al suo lavoro diurno, dalle ore nove alle ore tredici e trenta: telefonista a part-time.
Sentivo ancora il suo odore, guardai le lenzuola stropicciate sul suo lato e le accarezzai.
Adoravo svegliarmi nella sua camera da letto: guardare il soffitto di quella stanza mi dava un senso di gioia e di appartenenza. Sentivo che quello era il mio posto nel mondo.
Trovai il caffè pronto, assieme ad una fetta di torta alla pera che aveva preparato il giorno prima. Nessun biglietto, solamente del rossetto sulla tazza. Con la forma del suo bacio.
Decisi di andare al mercato del pesce. Le avrei fatto trovare pronto per pranzo la Bouillabaisse. Una zuppa di pesce marsigliese che sapevo piacerle molto.
Ritornai a casa sua. Carla mi diede da subito una copia delle chiavi: mi aveva aperto la porta del suo cuore e mi lasciava sovrano di andare e venire dalla sua abitazione.
Mi ci volle poco per fare questo piatto che un tempo era preparato con ciò che i pescatori non riuscivano a vendere: da povere origini ora era diventato una ricca pietanza: olio extra vergine d’oliva, aglio, cipolla, pangrattato, concentrato di pomodoro, zafferano e un po’ di peperoncino assieme a tranci di pesci, crostacei e molluschi. Fuoco vivace per dieci minuti. Poi il mio segreto: a fine cottura, con il fuoco appena spento, una piccola benedizione ottemperata col Brandy. Nel frattempo affettai del pane per farne dei crostoni caldi.
Avevo preparato la tavola e messo in frigorifero una bottiglia altoatesina di Muller Thurgau.
Pensai che mancava solo il dolce. Lei.

parte 7.2


Era già passato un mese da quando misi piede al Venezuelas. Nel mezzo di una notte illuminata da statici lampioni  e da fugaci luci di automobili, in quel portone aperto di quella casa sconosciuta di una via di un santo venerato dagli ortodossi, Carla mi disse ti amo. Era un sentimento che provavo anch’io, ma non riuscivo a dirlo, era come se a provarci, mi si indurisse la bocca; sentirmelo dire un brivido gelò il sangue.
Guardai per un istante infinito i suoi occhi scuri e sinceri. Udii quanto lei era innamorata e riconobbi quanto lo ero anch’io.
Il gelo si trasformò di colpo in un fiume caldo, donandomi una sobria ebbrezza ed una infusa energia.
Quella parola trasformava la sessualità che avevamo vissuto fino a quel momento in sensualità.
 “Ti amo anch’io, Carla, da matti. Sei la persona che desidero al mattino quando mi sveglio e quella che sogno alla notte, quando dormo…” Mi confessai stringendo le sue mani nelle mie.
Mi baciò.
“Vieni da me” disse conducendomi a se.
“Certo. Da te, qui, in macchina…” risposi pensando che si riferisse al luogo dove fare l’amore.
“ No, splendido uomo stolto…intendevo dire viene da me, ad abitare da me… almeno un po’…”
“Cosa intendi dicendo un po’? ”
“Non voglio che tu ti senta obbligato o vincolato, puoi stare da me quando e quanto vuoi…non ti chiedo nulla, non ti chiedo di sposarmi, non ti chiedo per sempre…ho solo voglia di vederti al mattino, quando mi sveglio, ho solo voglia di prepararti il caffè…”
“ Ti basta così poco? Niente di più ti viene a mente? Proprio null’altro??? “ dissi sorridendo.
“ Certo che mi vengono a mente altre cose, abbi fede. Segui la mia ombra. Ti porterà alla luce… o perlomeno a qualche cosa che ti piacerà…” si girò e senza voltarsi usci da quel portone, si diresse verso la sua Mini Cooper e poi verso casa.
Mi accorsi dell’arido deserto di cui ero ammantato fino a quel momento. Inseguii quell’ombra come un assetato rincorre un miraggio.
Il nostro rapporto fece un passo avanti, verso un nuovo e sconosciuto mondo. E contro vecchie certezze: quelle che dicevano chi è che cosa noi eravamo. Sapevo che io potevo cambiare. Ed avevo il grave timore che Miss Downey non ci avrebbe mai lasciato.

parte 7.1


La mia frequentazione notturna con Carla continuò fuori dal locale. La aspettavo un isolato più in là per non farmi notare dagli albanesi. Non mi importava nulla cosa facesse prima di incontrarmi, conoscevo il suo lavoro e cosa comportava. Ero trepidante di vedere i suoi occhi, di guardarla e farmi guardare, di baciarla, di sentire le sue mani, di fare l’amore. Dappertutto. A casa sua, in macchina, o in un portone di una via limitrofa al Venezuelas, che trovavamo sempre aperto. A volte in tutti questi posti.

parte 6.3


Mi sentivo un soldato al fronte. Ed io obbedivo alle mie generali.
Non sono mai riuscito a capacitarmi di come donne belle e raggianti, sebbene più grandi di me, potessero pagare per fare sesso. Mi sentivo un Dio. E facevo sentire loro delle Dee.

parte 6.2


Nonostante la grandezza della nave, era difficile che mi perdessi. I luoghi che un cuoco può frequentare sono davvero pochi. Tutto è off limits. Dovevo sottostare alla regola che io avevo chiamato delle tre C: Cucina, Cuccia e Cantina. Ovvero lavorare, dormire e se avanzava un po’ di tempo c’era una saletta senza finestre (che io chiamavo cantina)  con qualche poltroncina dove guardare tivù, ed una libreria di testi in inglese, con cui potevo cercare di migliorare le lingua, mentre la maggior parte dei colleghi ingurgitava birre e vino di dubbia qualità.
La paga era buona e quando tornavo a casa, mi permetteva di godermi degnamente i due mesi di pausa. E di acquistare un monolocale.
Un paio di stagioni, e la mia abilità ai fornelli mi permisero di diventare secondo chef. E di potermi muovere senza restrizioni per tutta la nave. Avevo tempo per abbronzarmi al sole dei caraibi ed imparare l’inglese, conversando con donne sole… inondate da raggi di sole. Inoltre potevo frequentare la piccola palestra degli ufficiali. A dire la verità quest’ultima era una cosa che mi ero guadagnato da me: il comandante della nave, era una buona forchetta ed apprezzava davvero molto i miei piatti. E ciò che preparavo solo per lui ed i suoi ospiti. O meglio le sue personali ospiti…
Questo mi portò alcuni piccoli privilegi, tra cui appunto la palestra. Nemmeno il primo chef ne aveva accesso. Mi guardavo bene dal metterlo al corrente. Sebbene avesse interessi diversi lo avrei ferito nella sua dignità professionale. E ferito nell’amicizia che si era creata tra noi due.
Per contratto, dovevo presenziare alle numerose cene di gala che si tenevano a bordo, in parte per completare le pietanze sotto gli occhi dei clienti, magari con vistose flambate, in parte per controllarne il gradimento.
Il compito era affidato a me, in quanto il primo cuoco, come responsabile ultimo, ufficialmente non poteva uscire dalla cucina, di fatto era evidente che la sua età prossima alla pensione ed il suo naso da troppo tempo irrorato dal Rhum giamaicano, non davano certamente lustro al galà. E nemmeno alla società armatrice. Al contrario suo, devo dire, che io facevo la mia bella figura, tenendo alta la bandiera. Quella della compagnia, ma anche e sopratutto quella mia. 
Uscendo per verificare il grado di soddisfazione dei clienti più volte mi capitava di ricevere delle mance. Quelle cospicue mi venivano infilate fino in fondo la tasca dei miei pantaloni d’ordinanza a piccoli scacchi bianchi e neri, accompagnate da un bigliettino che indicava il numero della stanza ed un ora. Erano prevalentemente  ricche quarantenni americane. A volte viaggiavano da sole, a volte con un amica, a volte erano accompagnate da un marito: così intento a perdere piccole fortune al Black Jack ai tavoli del casinò, che non si accorgeva che la moglie annoiata lo tradiva.
Con un cuoco. O un mercenario.

Olimpiadi ed olimpici

Ne ho ben donde di sentire che ogni tanto viene "beccato" qualche atleta per dopping. Ne ho ben di più dei giornalisti che dicono che vogliamo solo medaglie pulite. Falso, niente è più falso del becero moralismo.
Non esiste atleta professionista che non sia doppato, che non si sia doppato e che non si dopperà per poter continuare ad essere al pari di tutti i suoi colleghi.
Quello che fa è quello che il popolume vuole. Record mondiali in quantità. performance incredibili, risultati stupefacenti. Letteralmente.
Chiunque abbia frequentato una palestra lo sa.
Chiunque abbia praticato uno sport seriamente, anche a livello dilettantistico lo sa.
Chiunque, per attirare a se gentil donzelle, esibisce muscoli e tartarughe sul lungo mare lo sa...