lunedì 24 settembre 2012

parte 9.1



Carla ricevette un sms: “Ti devo parlare. Urgente, sono sotto il tuo lavoro.” era Natasha, una sua collega del Venezuelas. Mancava ancora un’ora alla fine del suo turno: Carla si recò dal suo capo domandando un permesso. Sapeva che non era solito darne. Quindi sfoderando una faccia desolata e adducendo che la madre stava molto male chiese di lasciare anticipatamente il lavoro.
Natasha non era solo una sua collega, era la sua migliore amica del club: quella che fin dal primo giorno l’aveva aiutata, seguita e consigliata. Rincuorata all’occorrenza. La conosceva, bene e se lei diceva che era urgente lo doveva essere sicuramente. Carla scese le scale ed uscì dall’edificio rosso mattone,
una volta sede di una rinomata società produttrice di liquori, ora sede di una Società di assicurazioni.
Natasha era lì, la stava aspettando, sembrava visibilmente preoccupata.
“ Ciao mio cuore” disse Natasha abbracciandola.
“ Che bella sorpresa che mi hai fatto. E’ bello vederti fuori dal lavoro.”
“Non ho voluto venire, ho dovuto”
“Natasha, mi fai preoccupare.”
“ Mio cuore, ti devi preoccupare.” Natasha parlava sempre così con tutti, era un suo intercalare, indifferentemente se si rivolgesse ad un uomo o ad una donna.
“ Andiamo a prenderci un caffè. Non posso rimanere qui sotto, sapessi che storia ho dovuto raccontare per andarmene prima. Per certi versi sono più controllata qui che giù al locale da Tacos…”
“Andiamo, ma restiamo all’aperto. Quello che ho da dirti è meglio che non lo senta nessuno.”
Si incamminarono. Carla guardava la sua collega ed amica con preoccupazione misto a stupore, non capiva cosa le stava per cadere addosso.
“Vedi, stamane, sono tornata al locale, ieri avevo dimenticato lì il telefonino. Mi faccio sempre gli affari miei, ma questa volta ho sentito qualcosa che proprio non avrei voluto sentire. Lo sai che ti voglio un mondo di bene… ti considero come una sorella… ti devo raccontare tutto.”
“Natasha, ti voglio bene anch’io e mi preoccupo per te. Non metterti in situazioni di cui poi non sai come uscirne.”
“Mio cuore, devi stare attenta, Tacos parlava con Almir di te, dicevano che ti vedi con qualcuno e da troppo tempo”.


Almir, era la mente del Venezuelas,  un metro e ottantasette di altezza, corporatura apparentemente esile, capelli corti e brizzolati, barba incolta e portamento signorile, colui che risolveva tutti i problemi logistici: dal pagare le fatture a foraggiare i poliziotti. Era una persona colta, e per questo più pericolosa. Dimostrava sempre una efferata lucidità criminale. Si diceva fosse laureato a pieni voti in legge all’Università di Tirana, che avesse un Master in criminologia conseguito a Londra in collaborazione con Scotland Yard e non di meno che per un certo periodo fosse stato un funzionario del Sigurimi, la polizia segreta albanese, durante la dittatura comunista.

 

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