“La mia vita privata non gli deve
interessare.” Disse Carla con tono seccato, non tanto per Natasha, ma per
l’evidente ingerenza del suo angolino di vita privata da parte dei suoi datori
di lavoro notturno.
“Non è così, mio cuore.”
“Accidenti se è così”
“No! Non lo è. Tu sei la loro
gallina dalle uova d’oro.” Accentuò volutamente “la loro”.
Nessuno aveva mai indicato Carla
come gallina, la cosa non le piacque. Ed il suo sguardo lo rivelò chiaramente.
“Cuore mio, prova a capire… pensa a
quanti clienti vengono lì per te, solo per te, sei la più bella. Sei diversa da
tutte le altre, hai qualcosa in più, hai quella sensualità misto a purezza e
quell’ ingenuità che piace agli uomini. Sai di acerba, sembri una mela ancora
da cogliere. Tutti vogliono credere di essere i primi a cogliere il tuo
frutto.”
Carla, se da una parte si sentì
lusingata per quelle parole, dall’altra si sentì infastidita. Il motivo era comunque
lo stesso e Natasha aveva maledettamente ragione.
Carla continuò a prestare
attenzione in silenzio.
“Tacos asseriva che da un po’ di
tempo non sei più la stessa, che Miss Downey non attizza più. I clienti cercano
altre. Ma soprattutto che sia tu non cercare loro.”

Il rombo del passaggio di una moto
elaborata interruppe la frase per un attimo. Tempo per dare a Carla il pensiero
sfuggente di come e quanto Natasha ne sapesse sulle tossine.
“ E poi quelli lì sono capaci di
tutto. Lo sai bene. Dovete stare attenti. ”
Poi sottovoce, fra se e se,
aggiunse: “Dobbiamo stare attente.”
“Va bene Natasha, ci penserò su.
Grazie per tutto quello che stai facendo per me. Sei una brava persona. Ti
voglio bene. Ora, se non hai altro da dirmi andrei a casa.”
Lo disse in modo spicciolo in parte
perché voleva separarsi da chi l’aveva gettata nella fossa di quei leoni
chiamati dilemmi ed in parte pensando a Giovanni che l’aspettava.
La collega di Lap Dance arrivata
dall’Ucraina, venuta in cerca di vita migliore di quella lasciata alle spalle, in
un paese alla periferia dell’Europa, che per ironia della sorte è anche il
significato del suo nome, abbracciò forte Carla. Poi solo con lo sguardo la
salutò, cambiando subito marciapiede dirigendosi altrove: doveva darle spazio,
in modo che potesse elaborare quelle sue
parole.
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