Carla mi chiese conferma di ciò che
provavo per lei. Ero come in difficoltà, dirle che l’amavo mi sembrava, per
quanto veritiero, dozzinale. Volevo dire molto di più, ma non mi uscivano le
parole giuste. Mi chiese allora di scriverle qualcosa, forse così mi sarebbe
stato più facile.
Il giorno dopo le scrissi un
biglietto a mano, su una carta pergamenata, poi comprai una piccola cornice di
ceramica di una contessa altoatesina, da porre su un piano. Ci infilai dentro queste parole:
Potrei dirti che ti voglio bene, ma
mi appare poco,
potrei dirti che ti adoro, ma non è
abbastanza,
potrei dirti che ti amo, ma te l’ho
già detto,
o dirti che mi sembra di
respirarti,
e poi di essere l’aria che entra nel
tuo corpo.
Come se tu fossi all’interno di me
e poi io dentro di te.
Ma preferisco che tu, guardandomi
negli occhi,
possa scoprire questo e quanto
altro ancora provo,
che non so dire
e che non so scrivere,
perché non esistono le parole.
Preparai il tutto in una mattina
soleggiata che lasciava intravedere la possibilità che presto sarebbe arrivata
la primavera. Mi sembrava, forse, anche per questo motivo meteorologico la
giornata giusta per farlo. Arrivava la primavera, ovunque. Lasciai la cornice e
le mie parole sul comò, in camera da letto. Non le anticipai nulla, volevo assaporare
la sua reazione naturale. Non forzata da un annuncio.
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