venerdì 28 dicembre 2012
giovedì 27 dicembre 2012
parte 17.0 fine primo atto
Nonostante non volessi più
parlarle, ne sentirla, avvertivo il bisogno di vederla, magari in lontananza.
Mi appostavo quasi ogni sera dietro il club, prima che lei arrivasse e dopo,
prima che se ne andasse: volevo solamente sapere che stesse bene.
Almeno questa era scusa che usavo
per me stesso.
Una sera dopo non averla vista
entrare al Venezuelos e pensando che probabilmente era tra le braccia di
qualche bancario di merda, m’incamminai verso un percorso che prometteva bar ed
alcool, persone e bicchieri: calici pieni confacenti a colmare vite vuote.

Fanculo, due colpi ed ero già K.O..
Chi me li aveva appena tirati
sapeva il fatto suo.
Un tizio piccolo ma ben piazzato, che ricordai di averlo
già visto al club, alzandomi testa per i capelli mi intimò di farmi i cazzi
miei e di stare alla larga del Venezuelos e di chi ci lavorava. Non riuscii a
rispondere, il dolore che provavo era troppo forte.
“Hai capito quello che ti ho detto
femminuccia?”
Avrei voluto dirgli che forse era
meglio che si guardasse sempre e bene le spalle e che era stato un vigliacco a
prendermi alla schiena e che se riuscivo ad alzarmi avrei lucidato i miei
stivali prendendolo a calci in culo… e che lo avrei ucciso... ma prima che ci
riuscissi, un altro calcio mi colpi allo stomaco.
Fine del primo atto.
Fine del primo atto.
giovedì 20 dicembre 2012
parte 16.1
I vestiti lasciarono spazio alle
nostre carnagioni, ambedue ambrate: la sua tanto uniforme quanto innaturale e
la mia, che teneva vaghi ricordi del sole tropicale.
Eravamo follemente presi una
dall’altro. Le nostre essenze si mischiarono divenendo un corpo ed un anima
sola. Passione e dedizione ci condussero in un universo parallelo, in un posto dove
non esiste il male.
E ben che meno i magnacci.
Pensai che avrei comprato casa
volentieri in quel posto. Indifferentemente quanto costasse e se per pagarlo
avrei dovuto vendere l’anima, al diavolo. O a chi per lui: ne valeva assolutamente
la pena.
Sarà che il tempo è fottutamente
relativo, ma come le cose cambiano nel
giro di pochi attimi non lo capirò mai: lei accese una sigaretta, non lo faceva
mai, almeno non in mia presenza, sapeva che odiavo le sigarette, mi guardò con occhi distaccati e freddamente
disse: “Gio’, prendiamoci un po’ di tempo.”
Anche l’altro universo mi cadde addosso.
Non esistono posti in cui al
male sia negato l’accesso.
Non dissi nulla, mi misi i vestiti
tra le nuvole grigie delle sue stramaledette sigarette sottili (e piene di
merda). Uscendo, appoggiai sulla mensola dell’ingresso 50 euro, asserendo che
erano più che ottimi ed abbondati per le sue scarse e scadenti prestazioni. Non
volevo darle diritto di replica, non la guardai nemmeno, chiusi la porta con
finta cortesia. Scesi per delle scale grigie, di vani grigi, di un condominio
grigio.
Non mi ero mai accorto di quanto il grigio fosse vuoto e grigio era tutto quello che mi circondava.

Viali senza alberi e gradinate senza scalini,
albe senza luce e tramonti senza sole;
negozi pieni di cose vuote e commesse colorate dall'anima grigia.
Amari ricordi del dolce sorriso di una bocca di rosa mai stata mia.

Viali senza alberi e gradinate senza scalini,
albe senza luce e tramonti senza sole;
negozi pieni di cose vuote e commesse colorate dall'anima grigia.
Amari ricordi del dolce sorriso di una bocca di rosa mai stata mia.
Per un bel po’ tutto quello che mi circondava
diventò asettico. Ero in uno stato di anestesia che, in quel frangente di
disperazione, serviva a creare alibi emozionali.
parte 15.2
Rimasi silenzioso. Continuavo a non
capire cosa stesse succedendo.
“ Gio’ io ti amo, e questo è un sentimento
che non mi posso permettere di avere.”
“ Ci sei andata a letto?”
“ Cambia qualcosa?”
“ Certo che cambia, mi è già
difficile pensare che lo fai per lavoro… ora anche per divertimento proprio
no!”
“ Non ci sono andata a letto e non
ci ho fatto sesso, ci ho solo parlato, è uno carino sai… lavora in banca…”
“ Interessante teoria. E’ carino in
quanto lavora in banca? C’entrano sempre i soldi per te, vero? Mi verrebbe da
dire che per te con i soldi c’entra tutto!”
Presi un bel ceffone. Solitamente la
verità fa male a chi la sente, ora anche a chi l’ha detta.
Mi guardò un attimo, non riuscivo a
capire se mi odiava in quel momento o che.

Accusai il colpo, feci per
andarmene, lei mi fermò prendendomi saldamente la mano, poi mi baciò.
E non fu un bacio e basta, continuò
a farlo. Nonostante una mia iniziale
riluttanza, mi continuò a baciare, senza darmi diritto di decisione, senza
darmi respiro. Comandava lei. Io non sapevo come ribellarmi, o forse sapevo ma sicuramente
non volevo.
I baci sono l’essenza dell’amore. E
sono sinceri in quanto privi di parole.
Le parole che sono spesso fuorvianti,
a volte partono dalla pancia, altre dalla testa.I baci partono dal cuore. Gli
abbracci dall’anima. E lei mi teneva stretto fra le sue braccia.
Ed io, bisognoso di cure come un
ammalato terminale, la lasciavo fare.
Ero alla sua mercè.
Chi è alla mercè di chi.
Ero alla sua mercè.
Chi è alla mercè di chi.
Mi disse che era uno strazio solo
pensare di lasciarmi andare.
parte 15.1
Carla tornò a casa, più o meno alla
solita ora. Mi trovò sul divano.
“Ciao. Che fai sveglio?”
“ Ti aspettavo…”
“Mmm… vuoi subito la ricompensa?”
“ Carla, non prendermi per il
culo.”
“ Che stai dicendo?”
“ Dico che stanotte le stavo per
prendere e tu nemmeno c’eri”
“ No ti seguo… cosa stai
blaterando… calmati.”
“ Sono calmo! O forse no. No…non lo
sono. Ma questo non cambia. Non cambia il fatto che stanotte ero al
Venezuelos e la nera mi ha detto che non
c’eri e di andarmene! Ed uno che lavora lì mi avrebbe voluto prendere a pugni …”
“ No Nou..”
“ Che hai detto?”
“ Ho detto No Nou, il nome di quella
che tu chiami nera. Cazzo, lei ha un nome, non chiamarla nera!”
“ Cazzo lo dico io… tu al massimo
li prendi…”

Cercai di calmarmi.
“ Dov’eri? Dimmi dov’eri per
piacere.”
Ci furono alcuni attimi di
silenzio. La domanda che feci con tono pacato necessitava di una risposta
sincera.
“ Non ti appartengo Giovanni…”
Se mai il peso del mondo fosse
misurabile e quantificabile, sono certo di averlo sentito tutto tutto addosso.
Lei continuò:
“Non ti devo giustificazioni perché
non ti appartengo.”
Prese un fazzoletto di carta dalla
borsetta e si asciugò una lacrima cristallina che scendeva dall’occhio
sinistro.
“ Non posso appartenere a nessuno
Giovanni, non posso appartenere a nessun altro, perché sono già di proprietà di
qualcuno… appartengo a tre albanesi…”
Altre lacrime scesero dal suo viso.
“ Che stai cercando di dire? Che
scuse stai trovando?”
“ Dico che non mi lasceranno
andare. Mai.”
Fece una pausa.
“ Sono la loro gallina dalle uova
d’oro. Non possono lasciarmi andare via, non possono lasciare che mi innamori
di qualcuno…”
Un’altra pausa.
“ Quella è brutta gente, sarà
meglio che tu mi stia lontano.”
“Non capisco cosa c’entri tutto ciò
con il fatto che non so dov’eri questa notte.”
“ Ero con un altro uomo Gio’”
Il mondo nuovamente si fece sentire.
mercoledì 19 dicembre 2012
parte 14.4
Ordinai non so nemmeno io cosa.
Comunque era forte e la bevvi quasi tutto d’un fiato. Guardavo il palco,
cercando di far finta di niente. Fu il turno di quella che la volta prima era
una poliziotta “cattivona”. Oggi vestita in stile anni settanta, mi sembrava la
caricatura dei cugini di campagna. Prese con se la stessa donna dell’altra
volta. Strane le cose della vita pensai, non ero il solo che si fosse
innamorato di una puttana.
Era il momento buono per andarsene
senza farsi notare, le due signore al centro della scena attiravano
l’attenzione di tutti, buttafuori compresi.
Uscendo dal locale, subito fuori in
strada, un tipo basso e tarchiato mi dette una spinta che mi fece quasi cadere
a terra. Al posto delle scuse trovai parole minacciose.
“Stai attento cretino d’un ubriacone.
Cerca di andartene subito e di non tornare se non vuoi che ti faccio
irriconoscibile anche da tua madre”
“ Me ne vado. Ok.”
“ Ancora… insisti… corri o ti
prendo e ti appendo per le palle al macello… là è pieno di vacche… ci staresti
bene, vero?”
Accolsi il suggerimento. E la
sottigliezza del messaggio. Non era il momento adatto per verificare l’attendibilità
delle sue provocazioni.
Feci alcuni giri a vuoto cercando
di capire se mi seguisse qualcuno. Dopo essermi sincerato di essere da solo
andai a casa. A casa di Carla. Volevo spiegazioni. Volevo e dovevo capire. Sapevo
che alla fine volevo solo lei. Per la prima volta ebbi paura di perdere
qualcosa a cui tenevo.
parte 14.3

“ Vattene subito.”
Rimasi di stucco per quelle parole
inaspettate e senza un senso apparente. Poi conscio che già mi tenevano
d’occhio cercai di far finta di niente. Stetti al gioco instaurato. L’aiutai a togliere le sue candide vesti per lasciar
posto alla sua pelle, che, nera come il peccato, si prendeva gioco e vincita da
ciò che convenzionalmente appare come puro e immacolato: il bianco. Come il
male contro il bene. O solamente i desideri reconditi che, in quel posto ai
confini della civiltà, trionfano contro un ipocrita perbenismo.
“ Che ci fai qui? Carla non c’è.”
Un altro fulmine a ciel sereno. Mi
chiesi quante cose ancora sapeva la venere nera.
“ Vattene!“ Ribadì lapidaria, come se non fosse certa che il suo
messaggio mi fosse arrivato preciso.parte 14.2
Uscito mi diressi nuovamente verso
una meta sconosciuta non ancora stanco di scrutare sguardi e di capire, o
perlomeno giocare a capire, l’essenza delle persone. Ad un certo punto un
languore mi portò verso un buffet del centro. Dal quale usciva un odorino di
quello che era il piatto tipico, cioè carne di maiale bollita con tanti aromi e
tanto sale.

Fui l’ultimo a pagare ed a
andarmene dal buffet. Guardai nuovamente l’orologio nella speranza di un responso
migliore, ma nuovamente sentenziò che era presto. Decisi che dovevo cambiarlo,
non doveva funzionare. O era tardi o era presto, mai una volta che l’ora fosse
giusta. Giusta per me.
Se non erro, un tale dai capelli scompigliati disse che il tempo è
relativo.
parte 14.1
Quel pomeriggio Carla non tornò a
casa. Si recò direttamente al Venezuelos. Una telefonata serafica mi avvisò di
questa sua decisione:
“Ciao bello, sono io, scusami tanto,
ma non rientro a casa, sto qui da una mia amica, ha bisogno di parlare, è
parecchio giù. Poi vado diretta al night. Ci vediamo domani mattina, Ok?”
“Se ti dicessi di no, cambierebbe
qualcosa?”
“Sì, cambierebbe, domani potrei
farmi perdonare di… due cose… che dici?”
“ Allora dico che comandi tu, io
obbedisco. Così come fece Garibaldi davanti al suo Re!”
“ Non so se riuscirò a resistere
fino a domani…”
“
Mmm, io dico di sì… ciao…”
Pensai che avevo anch’io bisogno di
Carla. Sicuramente più della sua amica.
Decisi che sul tardi sarei andato
direttamente al night. Non riuscivo ad aspettare, ero convinto che Carla mi
avrebbe scelto nuovamente per la sua esposizione scenografica di un rapporto bondage.
Mi preparai con calma e non avendo voglia di cucinare solo per me, decisi per
un pasto frugale nel primo buco di locale che avesse in qualche modo attirato
la mia attenzione. Scesi in centro: avevo tempo, molto. Girovagavo senza una
meta precisa cercavo facce amiche. Guardavo vetrine e scrutavo persone. Entrai
in un negozio di biancheria intima, con l’intento a comprare un completino da donna. Il motivo che mi fece entrare in un negozio
invece che in un altro era una commessa che dalla vetrina vidi sorridente con
tutti i clienti. Non so se a sorridere erano di più le sue labbra, il suo
sguardo malizioso, o i suoi seni, che sotto una maglietta morbida, posata su
una spalla solamente, lasciava i suoi
capezzoli poco più che maggiorenni liberi di essere, di parlare e di fare
promesse. Mi feci mostrare svariati completino intimi, divertendomi a farmi
consigliare uno invece che un altro descrivendo la fisicità della mia donna.
Che per l’occasione era tale quale a lei.
Comprai uno che la commessa definì
con scarsa fantasia, ma in modo inequivocabile, completino da letto. Pensai che
un giorno, ritornando in quel negozio, avrei potuto farmi spiegare meglio cosa
intendesse. Oggi no, avevo già le idee chiare sulle spiegazioni che
necessitavo. E su chi me le doveva dare.
giovedì 13 dicembre 2012
istruzioni 3.0
All'interno del blog, come oramai tanti lettori sanno, c'è
una storia, una storia di un amore pressoché impossibile, irto di passioni
forse proprio per lo stesso motivo. La storia va letta in ordine progressivo numerico
e, siccome potrebbe essere soggetta a revisione e/o aggiunte, per comodità ho
usato un doppio sistema numerico, ovvero inizia con "parte 1.1" dove
il primo 1 sta per capitolo ed il secondo 1 sta paragrafo. E così via: parte
1.2, parte 1.3, parte 2.1, 2.2, 2.3 etc.etc..
parte 13.2
La mattina seguente Carla mi
svegliò per fare colazione. Non era mai accaduto e la cosa mi fece piacere.
“Ho voglia di fare colazione con
te, stamane. Ti ricordo che oggi dopo il lavoro mi vedo con una mia amica. Ci
vediamo stasera. Passo per casa prima del lavoro.”
“Bene, approfitterò per fare alcune
cose arretrate.”
Mentre parlavamo Carla si vestiva.
Notai, senza però farci particolarmente caso, che indossò dei abiti più belli
di quelli solitamente usati per recarsi al Call Center. Lo fece davanti a me,
pensai che era sexy non solo quando si toglieva i vestiti.

“Come sei bella ed elegante oggi.”
”Direi come sempre, non mi vedo
addosso nulla di particolare.”
“Non è vero, oggi sei più carina
del solito.”
“Non chiamarmi carina, non mi
piace, mi sembra un modo educato per non dire bruttina.”
“Assolutamente non ero ciò che
intendevo, ma non lo farò più. Tu sei molto di più di carina, sei bellissima.”
“Mi stai adulando?.”
“Assolutamente sì!”
Mi guardò ancora un attimo prima di
uscire. Un bacio fugace ed una parola che, col senno di poi, poteva voler dire
tante cose. “Scappo. Ciao”.
La vita è un continuo
trascinamento in salita, verso una vetta indistinta che come un miraggio più
strada fai, più lei si allontana. Inoltre crepacci in cui cadere, non
mancano mai. E sono sempre celati in abiti ammalianti.parte 13.1
Tornai a casa di Carla nel primo
pomeriggio. Suonai il campanello ma non rispose. Entrai con le mie chiavi. La
trovai a letto, sotto le coperte. Non dormiva. La cornice non era
apparentemente più dove l’avevo lasciata. Carla si accorse che guardavo il comò
con espressione di chi cerca con gli occhi qualcosa che non c’è. Mi capiva
sempre al volo, fin dal primo giorno, dal primo momento.
Così la capivo anch’io.
Almeno credevo.

Disse semplicemente grazie.
“Ho fatto solamente il mio dovere.”
risposi, cercando con dell’ironia di minimizzare la cosa. Mi sentivo
imbarazzato, non avevo mai scritto parole d’amore. E non ero pronto a ricevere
complimenti.
“ Sono parole bellissime, le
porterò sempre con me, nel mio cuore, qualsiasi cosa possa succedere fra di
noi”
Non feci caso alle ultime parole
che lei disse. Non lo feci perché focalizzavo le prime, ovvero su quelle che promettevano
un legame inscindibile fra un mio pensiero ed il suo cuore.
Ciò mi riempiva di
felicità. E di orgoglio.
L’orgoglio
non è altro che un vizio che prima inganna le anime e poi le divora.
“Sei l’uomo più bello del mondo e
la miglior cosa che mi potesse mai capitare. Sei il mio punto di equilibrio.”
“ No, sono solo un uomo fortunato perché
ha vicino una stella. Ma non una qualsiasi: ho vicino la stella più bella.”
Le
parole non sono immortali. La loro vita è più breve di quel che si voglia
credere.
mercoledì 12 dicembre 2012
Mentre Dormi
Mentre dormi ti proteggo
e ti sfioro con le dita
ti respiro e ti trattengo
per averti per sempre
oltre il tempo di questo momento
arrivo in fondo ai tuoi occhi
quando mi abbracci e sorridi
se mi stringi forte fino a ricambiarmi l'anima
(Max Gazzè)
e ti sfioro con le dita
ti respiro e ti trattengo
per averti per sempre
oltre il tempo di questo momento
arrivo in fondo ai tuoi occhi
quando mi abbracci e sorridi
se mi stringi forte fino a ricambiarmi l'anima
(Max Gazzè)
giovedì 6 dicembre 2012
in attesa
...
le nostre giovani anime dimorano in corpi scolpiti dalle passioni che
abbiamo vissuto.
In attesa che i segni delle passioni future completino la mappa dell'essere... (M.P.)
In attesa che i segni delle passioni future completino la mappa dell'essere... (M.P.)
mercoledì 5 dicembre 2012
parte 12.2
La fiducia nella persona e la lieve
ebbrezza mi portò a confidare a Pino la mia relazione con Carla. Era la prima
persona che ne venne a conoscenza. I miei vecchi amici di scuola che mi
portarono al Venezuelas non sapevano altro che di un mio incontrò nel privè del
locale con una biondina da brivido. Credo che non sarebbero nemmeno capaci di
riconoscerla fuori dalle vesti di Miss Downey. Né loro né altri. E questo mi
rassicurava.
“Situazione complicata.” Disse alla
conoscenza dei duplici lavori della mia donna.
“Già, ma se solo saprei spiegarti
quello che c’è fra di noi…sai, oggi le ho scritto una poesia, non avrei mai
creduto di essere capace di mettere assieme più di due parole, poi tutto d’un
getto lo scritta, per certi versi ne sono fiero. Poi penso che sia solo merito
suo. Io non ero altro che la mano scrivente. Lei, la musa.”
“Auguri, ma state attenti.”
aggiunse stringato. Se aveva del disappunto non lo fece notare. Comportamento
frutto probabilmente dell’istruzione militare che acquisì in Israele: non porre
mai domande.
D’altra parte Israele è
un paese in guerra con metà mondo. Oltre che con se stessa.
Ignoravo ancora che nel giro di due
giorni due persone diverse, che non si conoscevano, e nulla avevano in comune, ci
mettessero in guardia sull’amore che provavamo e su un viaggio affettivo in
bilico su un filo sottile che io e Carla stavamo intraprendendo.
Io e Pino ci salutammo con la
solita illusoria promessa che bisognava trovare più occasioni per quei
incontri. Visto che, ammesso ci fossimo nuovamente incontrati sulla stessa nave
da crociera, il suo ruolo impediva che si avvicinasse nemmeno lontanamente ad
un bicchiere che non fosse di acqua.
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