Mi chiamò in disparte un medico. Entrammo
in una saletta austera, un tavolo due sedie ed un lettino, non si sedette, io
nemmeno. Era giovane e dai movimenti impacciati, sembrava stanco e trasudava la
sua voglia di essere da un’altra parte. Capii che non aveva buone notizie. Stringato
mi disse che Carla non aveva subito danni permanenti ma, asserì, che i colpi
ripetuti ricevuti in pancia hanno fatto sì che il bambino non ce l’avesse fatta
ed è stato d’obbligo un aborto d’urgenza. Mi salutò dispiacendosi ed asserendo
che aveva fatto tutto il possibile. Non riuscì a dire una parola, ero
impietrito, dovevo metabolizzare troppe cose, restai per un po’ immobile in
quella stanza che sembrava volesse schiacciarmi. Come può essere un magnaccia padrone
e tiranno di tre vite fino ad ucciderne una?

Carla stava dormendo, le luci al
neon erano di colpo diventate accecanti, l’odore acre dei disinfettanti mi
diedero il voltastomaco, decisi che era meglio andarmene.
Avevo bisogno di conforto. Non sapevo
chi potesse darmelo. Credo che siano questi i momenti in cui le persone si
aggrappano alla fede, ad una qualunque. Così anch’io, mi aggrappai ad una: a quella del Dio Bacco. O perlomeno a ciò che lui portò in dono agli umani.
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