Entrammo e ci accomodammo su bassi
divanetti dal tessuto consumato. Ci chiedemmo che cosa avesse logorato così
quella stoffa:
“ Il culo di quella nera che sta
ballando.” Asserì Graziano, felice di distendersi su quel divanetto.
Su quello che in inglese viene
chiamato Dance Floor, su un palo c’era una venere nera; credo di non aver mai
visto un corpo così statuario come quello che si muoveva su quel freddo sostegno.
Non così nero perlomeno.
La serata prese così una via
diversa dal solito, non per forza migliore, ma sicuramente diversa.
Un nano incravattato presentava le
meraviglie della casa. E le loro discutibili peculiarità.
Una mora… svestita da poliziotta…
invitò una delle poche ragazze presenti in sala. Quello che ne seguì
ringalluzzì alquanto i miei amici. E me.
Dopo una pausa creata ad hoc per
poter offrire da bere alle star del locale, e riempire le casse degli albanesi
padroni di casa, ecco che fu il turno di Miss Downey.
Vestita da una bionda parrucca e da
poco altro, salì sul palco. Ed entrò nella mia vita: anche se ancora non lo
sapevo.
Dopo pochi minuti di esibizione e
di bocche aperte per l’ammirazione, o per l’eccitamento, Miss Downey mi si
avvicinò e senza dare possibilità di negazione mi portò con lei sul palco. Con il
mio imbarazzo e l’evidente invidia dei restanti.
“Giò, Giò, Giò!”
Gridava un coro amico di ultrà.
Non ricordo il susseguirsi degli
eventi, ma so che da lì a poco mi ritrovai in un privè. Con lei e la sola sua
parrucca.
Non lo so perché, ma sentii subito
qualcosa che potrei chiamare feeling, o perlomeno era qualcosa di nuovo, mai
provato. C’era qualcosa che ci legava... E non mi riferisco delle manette che mi
mise addosso.
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