Tacos era dei tre albanesi, quello
che si occupava di “assumere” le ballerine del Venezuelas, il suo vero nome non
lo conosceva nessuno. Il soprannome derivava dal suo cibo preferito.
“Impara l’arte e mettila da parte,
impara il mestiere e fatti sempre offrire tanto da bere!” Era invece la sua battuta
preferita: veniva detta a tutte le ragazze che da paesi balcanici e baltici
arrivavano in Italia in cerca di una vita migliore, vantando lauree e titoli conseguiti
nei loro rispettivi paesi. Ma alla fine difficoltà e crisi spesso le portavano
a chiedere a lui un ingaggio. Qualora Tacos notasse qualche perplessità nella
ragazza che di fronte a lui cercava un impiego nel suo locale notturno,
aggiungeva: “ Carissima, fuori dalla porta ho la fila di… manovalanza… disposta
a tutto, quindi o fai quello dico io o ritorna in quella topaia da dove sei
arrivata!”
Tacos era piccolo e tarchiato:
altezza un metro e sessantacinque per 85 chili di muscoli. Nonostante guardasse
tutti verso l’alto la sua espressione era di superiorità. Questa era data dalla
sua esperienza in combattimenti di Krav Maga. O lotta di strada. Un sistema di
combattimento nato in Israele per mano del comandante dell'esercito, Imi
Lichtenfeld.
Un mix di tecniche dirette, pochi
balletti: pugni, leve articolari, calci e proiezioni portate a zone vitali del
corpo e che potenzialmente procurano danni irreversibili. O meglio, la
neutralizzazione definitiva dell’avversario. Tacos le conosceva tutte. E bene.
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