martedì 10 luglio 2012

parte 4.3


Tacos era dei tre albanesi, quello che si occupava di “assumere” le ballerine del Venezuelas, il suo vero nome non lo conosceva nessuno. Il soprannome derivava dal suo cibo preferito.
“Impara l’arte e mettila da parte, impara il mestiere e fatti sempre offrire tanto da bere!” Era invece la sua battuta preferita: veniva detta a tutte le ragazze che da paesi balcanici e baltici arrivavano in Italia in cerca di una vita migliore, vantando lauree e titoli conseguiti nei loro rispettivi paesi. Ma alla fine difficoltà e crisi spesso le portavano a chiedere a lui un ingaggio. Qualora Tacos notasse qualche perplessità nella ragazza che di fronte a lui cercava un impiego nel suo locale notturno, aggiungeva: “ Carissima, fuori dalla porta ho la fila di… manovalanza… disposta a tutto, quindi o fai quello dico io o ritorna in quella topaia da dove sei arrivata!”
Tacos era piccolo e tarchiato: altezza un metro e sessantacinque per 85 chili di muscoli. Nonostante guardasse tutti verso l’alto la sua espressione era di superiorità. Questa era data dalla sua esperienza in combattimenti di Krav Maga. O lotta di strada. Un sistema di combattimento nato in Israele per mano del comandante dell'esercito, Imi Lichtenfeld.
Un mix di tecniche dirette, pochi balletti: pugni, leve articolari, calci e proiezioni portate a zone vitali del corpo e che potenzialmente procurano danni irreversibili. O meglio, la neutralizzazione definitiva dell’avversario. Tacos le conosceva tutte. E bene.

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