mercoledì 11 luglio 2012
istruzioni 2.0
Tutti i post denominati "parte" seguiti da un due numeri intervallati da un punto
(es. "parte 5.1") vanno letti in ordine numerico partendo da 1.1 (per capirci come gli articoli di legge ed i suoi commi...). Se lo fate quello che ne esce è una storia, un romanzo. Naturalmente, se non lo fate, non vi perdete proprio niente.
parte 5.1
Ero da poco sbarcato. Lavoravo come
secondo chef presso una nave da crociera che gira le isole del mar dei caraibi.
Tornai a casa con un volo Charter che
partiva da Piarco International l’Aeroporto di Trinidad e Tobago. Scalo a
Fiumicino, poi un aereo nazionale fino a Ronchi dei Legionari.
Ad ogni rientro, circa ogni 6 mesi,
gli amici mi organizzavano una serata. Se la partenza dava sempre
quell’emozione dell’avventura ed in un certo modo dell’ignoto, il ritorno dava
il gusto della sicurezza. Era bello e rassicurante ritrovare ciò che si aveva
lasciato: la propria casa, il proprio letto; le vie e le luci della solita ed
amata mia vecchia città. Era bello e confortante riassaporare il calore degli
amici. Quelli veri.
Ore 21.30, piazza della Borsa. Luogo
ed orario classico, da anni. Ci sono tutti, gli amici di sempre. Un’amicizia
iniziata e mai perduta dalle scuole medie: Graziano “Graz the Ganz”; Paolo “John Stravolto”
chiamato così per somiglianze evidenti; Lorenzo
“el biflon”, in quanto era quello che passava i compiti a tutti;
Mauro“clanfa”, noto personaggio attivo nel sociale e nel goliardico; Carlo o
meglio solo Carletto, era la mascotte del gruppo, almeno, noi lo consideravamo
così, ma sapevamo bene che lui si sarebbe offeso se solo immaginava che noi lo
pensavamo. Da un po’di tempo mancava Luca, era troppo occupato a curare il suo
fisico in palestra. E le ventenni che la frequentavano.
Il proposito delle serate era
ripetitivo. E mai noioso: Sesso ed alcool.
Iniziava così l’ennesimo giro,
l’ennesima serata, che tra solite battute,
vecchi ricordi e tanta nostalgia dei bei tempi andati (chissà perché
sempre migliori), portava sonante lucidità ai baristi. E nebbia e torpore alle
nostre menti.
“Come sempre qui si finisce solo
col bere e non si tromba.” Disse laconico Graziano, battuta che tra l’altro era
come un suo disco fisso ad ogni uscita.
Se l’alcool era una sicurezza al
contrario donne e sesso erano un optional. Di cui spesso dovevamo fare a meno.
Nel mio caso pensai che senza della divisa da chef il mio fascino veniva a
mancare. Ma forse erano solo situazioni diverse: qui le donne non erano mogli
annoiate in cerca di ipotetiche rivalse in posti e con persone che non
avrebbero più rivisto.
“ Sempre la stessa battuta, mio
caro, è vecchia. Sarebbe ora che la smettessi e ti daresti più da fare. Ti
assicuro che se tu tirassi fuori una buona idea, noi l’appoggeremmo.” Rispose
Mauro.
Ero inconsapevole di ciò che
sarebbe di lì a poco successo. Di come quella battuta avrebbe influito sulla
mia vita. Nel bene e nel male.
“Bene Mauro, così provochi il mio
ego. Allora io, Graz the Ganz, vi prometto solennemente che questa sera vi
faccio trombare! …Basta che paghiate.”
“Seguitemi, banda di sotto
caporali!” Aggiunse con tono melodrammatico.
Si diresse verso vie più buie, meno
affollate. Vie dove capita sovente che qualche donna ti venga vicino chiedendoti
cosa ti piaccia fare. O che ti metta al corrente di prezzi e prestazioni. Promettendo
di essere più brava della moglie o della fidanzata. E sicuramente meno
esigente.
Una volta, seguendo facili sogni, dettati da incontrollabili bisogni, proprio
da quelle parti Carletto si ritrovò con una sorpresa grande e grossa in mano. “
A big surprise!”, si divertiva a dire Graziano, ricordando a tutti
l’inconveniente dell’incontro con una splendida, o splendido, transessuale.
Arrivammo sotto le insegne rosse
lampeggianti di un locale di Lap Dance, il Venezuelas. All’ingresso due tipi, due
classici buttafuori. Grossi, brutti e sicuramente cattivi.
Chissà perché i buttafuori devono
essere sempre così? Forse per l’infantile retaggio che bisogna aver paura delle
persone brutte e cattive?
Domanda di cui non sentivo il bisogno
di conoscere la
risposta. Assolutamente.
“Ognun per se e Dio per tutti”
esclamò Lorenzo, riferendosi a chi pagava il biglietto d’ingresso;
comprensivo della prima
consumazione, rigorosamente solo per il cliente. Per le ballerine bisognava
pagare un extra.
viali scolorati

albe senza luce e tramonti senza sole;
negozi pieni di cose vuote e commesse colorate dall'anima grigia.
Amari ricordi del dolce sorriso di una bocca di rosa mai stata mia.
martedì 10 luglio 2012
parte 4.3
Tacos era dei tre albanesi, quello
che si occupava di “assumere” le ballerine del Venezuelas, il suo vero nome non
lo conosceva nessuno. Il soprannome derivava dal suo cibo preferito.
“Impara l’arte e mettila da parte,
impara il mestiere e fatti sempre offrire tanto da bere!” Era invece la sua battuta
preferita: veniva detta a tutte le ragazze che da paesi balcanici e baltici
arrivavano in Italia in cerca di una vita migliore, vantando lauree e titoli conseguiti
nei loro rispettivi paesi. Ma alla fine difficoltà e crisi spesso le portavano
a chiedere a lui un ingaggio. Qualora Tacos notasse qualche perplessità nella
ragazza che di fronte a lui cercava un impiego nel suo locale notturno,
aggiungeva: “ Carissima, fuori dalla porta ho la fila di… manovalanza… disposta
a tutto, quindi o fai quello dico io o ritorna in quella topaia da dove sei
arrivata!”
Tacos era piccolo e tarchiato:
altezza un metro e sessantacinque per 85 chili di muscoli. Nonostante guardasse
tutti verso l’alto la sua espressione era di superiorità. Questa era data dalla
sua esperienza in combattimenti di Krav Maga. O lotta di strada. Un sistema di
combattimento nato in Israele per mano del comandante dell'esercito, Imi
Lichtenfeld.
Un mix di tecniche dirette, pochi
balletti: pugni, leve articolari, calci e proiezioni portate a zone vitali del
corpo e che potenzialmente procurano danni irreversibili. O meglio, la
neutralizzazione definitiva dell’avversario. Tacos le conosceva tutte. E bene.
parte 4.2
Una laurea in psicologia, un lavoro
da telefonista. Carla di giorno vendeva polizze assicurative.
Una cuffia ed un microfono la
mettevano in contatto con il mondo. E con il nulla. Erano nomi senza un viso,
saluti senza un abbraccio, problemi esistenziali senza una soluzione.
Carla era alta e magra, capelli
scuri e corti, portava gonne lunghe e scarpe basse assieme a camice che non
permettevano al suo seno di essere. Con le sue colleghe parlava poco e
socializzava meno. Di notte Carla però non era così. Di notte si trasformava. La dottoressa Carla,
diveniva Miss Downey. Si esibiva in un locale notturno, il Venezuelas. Locale
gestito da tre albanesi che nonostante i vestiti gessati di Armani trasudavano malavita
cresciuta nei sobborghi di Tirana. Miss Downey sul palco portava una
appariscente parrucca bionda, sapeva muoversi sinuosamente e torbidamente. Era
la più applaudita. Era la più richiesta anche nei privè, piccole stanze
arredate da un divanetto di pelle e da discutibili quadri di nudo femminile
divisi fra di loro da una tenda semitrasparente. Una parrucca, tacchi 12 e
collant autoreggenti la mettevano a contatto con quella parte del mondo apparentemente opposto a quello suo
diurno. Erano visi senza un nome, abbracci senza un saluto ed una soluzione,
temporanea, a problemi esistenziali.
parte 4.1
L’infanzia di Carla non era diversa
da tante sue coetanee. Una madre che desiderava il meglio per la piccola, e ciò
che lei non era stata capace di essere. Era sempre su un piedistallo alto ed
intoccabile. Non esitava di metterla in mostra ad ogni occasione possibile: da
sfilate di moda di vestiti per bambini a concorsi mascherati in cui lei era
vestita da geisha, da coniglietta, da strega, con tanto di trucchi e di
accessori degni di donne mature disinibite. Lo scopo ultimo era quello di esibire la morbida
pelle e le asciutte forme velate sotto la piccola mascherina.
Il padre era per lo più occupato a
farsi agli affari suoi, indifferentemente quali fossero; escludendo parentesi fatte di attenzioni che
mal si addicono ad un infante. Fin dove arrivassero queste attenzioni Carla non
lo ammise mai. E non lo ammise mai nemmeno sua madre.
Carla consegui tutti gli studi con
sufficienza, fino all’università. Laurea in psicologia, voto finale novantatre.
Bastava finire. E fare contenta la mamma. Inoltre non era la professione che intendeva
intraprendere.
Poi il lavoro, uno qualsiasi: trovò
posto presso un call center di una ruggente società di assicurazioni.
Non ti conosco...
Rinnegare qualcosa solo perché si è stati feriti, significa rinnegare se stessi, fare finta di non aver vissuto. Come dire non ero io, casomai qualcun altro...
Se hai voluto bene, amato, non puoi fare come se nulla prima fosse accaduto nulla. Se c'erano sentimento e amore come si fa a cancellarli? Certo a volte le situazioni portano a dover passare oltre, guardare avanti, a non voltarsi, ma cancellare è un'altra cosa. E non intendo ciò solo in un rapporto di coppia, può essere applicabile anche un’amicizia importante, non dico vera, ma quantomeno meritevole di essere chiamata tale.
La vita già è breve e spesso con molti rimpianti, se poi ci mettiamo anche a rinnegarla potremmo mai dire di aver vissuto degnamente?
Iscriviti a:
Post (Atom)