Erano le quattro e venticinque di
una notte oramai stanca e di una mattina non ancora rivelata. Le colline che
accompagnavano un’autostrada deserta che dal confine italiano di Fernetti
proseguiva in direzione della capitale Slovena prendevano forma. Natasha si
trovava a guidare la sua Alfa Mito nera, ben attenta a non oltrepassare i
limiti di velocità, anche se sapeva bene che mai a quell’ora autopattuglie
della polizia slovena si trovassero su quel tratto che lei percorreva con una
certa assiduità. Nei pressi di Lubiana, la macchina nera imbocco l’uscita per
un paesino di nome Vhrnika, per poi fermarsi in una piazza come da istruzioni
ricevute via sms. Doveva incontrare un uomo, sempre lo stesso, ma in luoghi
sempre diversi che le venivano forniti all’ultimo momento. Sì fermò e spense le
luci, era puntuale, l’uomo non c’era. Aspettò dentro l’auto, assieme a mille pensieri ed ancora più dubbi.
Era stufa, di tutto e di tutti. O di quasi tutti. Era turbata, ed il suo volto non riusciva a celarlo.
Dopo dieci minuti arrivò una Bmw,
scese un uomo di media corporatura apparentemente distinto, portava un cappotto
grigio, un cappello grigio e guanti di pelle nera. Apri il bagagliaio ne
estrasse una grossa valigia rigida tipo Samsonite, Natasha scese dall’auto e
aprì il portellone della sua Mito, l’uomo ci infilò la valigia.
“Buongiorno Natasha”
“Buongiorno signor Igor”
“Tutto bene Natasha? Ti vedo
stanca…”
“No signor Igor, tutto bene”

Il tale signor Igor la guardò negli
occhi, sfoderando un sorriso rassicurante che ricordava un politico italiano dalla
faccia che sembra una maschera.
“Meglio così, d’altra parte sei la
puttana più ricca dell’Ucraina, di cosa ti puoi lamentare?”
Natasha non rispose, la verità fa male.
“Ah, l’altro ieri ho visto la tua
sorellina, sta crescendo bene, così come il suo seno, sta diventando proprio un
bel bocconcino.”
“Non la guardare neanche, stalle
lontano o…”
“Shhhh… fai la brava cagnetta… Ora
vai a fare quello che sai. E non preoccuparti. Non serve.”
Natasha obbedì, sapeva di non poter fare altro,
prese la strada del ritorno.
L’uomo la guardò impassibile
andarsene, poi estrasse dal suo cappotto un telefonino, fece velocemente un
numero, rispose una segreteria telefonica:
“la corriera ha esaurito la
benzina.”
Poi spense il cellulare estraendo
batteria e sim, buttandoli poi in un cassonetto adiacente.
Natasha si stava asciugando le
lacrime mentre guidava spingendo sull’acceleratore e portando la macchina
attorno ai 180
chilometri l’ora. Incurante di quei limiti che fino a
poco fa stava perfettamente attenta, come se voleva essere fermata. Prese il
cellulare fece il numero della persona di cui era innamorata. Pensò ai consigli
dati appena qualche giorno prima alla sua collega Carla e pensò quanto sia
facile dispensare pillole di verità e quanto sia difficile ingoiarle.
Dall’altro capo una voce di donna.
“Pronto?”
“Tesoro, sono io…”
“Natasha… che ora è? Che cosa
succede?”
“Volevo sentire la tua voce, mi
manchi…”
“Sono le cinque meno dieci, non mi
chiami solo per sentire la mia voce…mi fai preoccupare.”
Devi
preoccuparti.
“Tutto bene se ti vedo… “
“Allora dammi il tempo di indossare
qualcosa. Fra trenta minuti al solito posticino nostro, ok?”
Non
perdere tempo a vestirti…
“Sì tesoro, va benissimo… ti amo…”
“ A fra poco zuccherino mio”
Arrivò per prima una pattuglia
della polizia del reparto di Opicina. Dalla volante scesero tre agenti, dall’altra
parte tre ciclisti, un’Alfa Mito nera e un cadavere.