
Carla ricevette un sms: “Ti devo
parlare. Urgente, sono sotto il tuo lavoro.” era Natasha, una sua collega del
Venezuelas. Mancava ancora un’ora alla fine del suo turno: Carla si recò dal
suo capo domandando un permesso. Sapeva che non era solito darne. Quindi
sfoderando una faccia desolata e adducendo che la madre stava molto male chiese
di lasciare anticipatamente il lavoro.
Natasha non era solo una sua
collega, era la sua migliore amica del club: quella che fin dal primo giorno
l’aveva aiutata, seguita e consigliata. Rincuorata all’occorrenza. La
conosceva, bene e se lei diceva che era urgente lo doveva essere sicuramente.
Carla scese le scale ed uscì dall’edificio rosso mattone,
una volta sede di una rinomata società produttrice di liquori, ora sede di una Società
di assicurazioni.
Natasha era lì, la stava
aspettando, sembrava visibilmente preoccupata.
“ Ciao mio cuore” disse Natasha
abbracciandola.
“ Che bella sorpresa che mi hai
fatto. E’ bello vederti fuori dal lavoro.”
“Non ho voluto venire, ho dovuto”
“Natasha, mi fai preoccupare.”
“ Mio cuore, ti devi preoccupare.”
Natasha parlava sempre così con tutti, era un suo intercalare,
indifferentemente se si rivolgesse ad un uomo o ad una donna.
“ Andiamo a prenderci un caffè. Non
posso rimanere qui sotto, sapessi che storia ho dovuto raccontare per andarmene
prima. Per certi versi sono più controllata qui che giù al locale da Tacos…”
“Andiamo, ma restiamo all’aperto.
Quello che ho da dirti è meglio che non lo senta nessuno.”
Si incamminarono. Carla guardava la
sua collega ed amica con preoccupazione misto a stupore, non capiva cosa le
stava per cadere addosso.
“Vedi, stamane, sono tornata al
locale, ieri avevo dimenticato lì il telefonino. Mi faccio sempre gli affari
miei, ma questa volta ho sentito qualcosa che proprio non avrei voluto sentire.
Lo sai che ti voglio un mondo di bene… ti considero come una sorella… ti devo
raccontare tutto.”
“Natasha, ti voglio bene anch’io e
mi preoccupo per te. Non metterti in situazioni di cui poi non sai come
uscirne.”
“Mio cuore, devi stare attenta,
Tacos parlava con Almir di te, dicevano che ti vedi con qualcuno e da troppo
tempo”.
Almir, era la mente del Venezuelas,
un metro e ottantasette di altezza,
corporatura apparentemente esile, capelli corti e brizzolati, barba incolta e portamento
signorile, colui che risolveva tutti i problemi logistici: dal pagare le
fatture a foraggiare i poliziotti. Era una persona colta, e per questo più pericolosa.
Dimostrava sempre una efferata lucidità criminale. Si diceva fosse laureato a
pieni voti in legge all’Università di Tirana, che avesse un Master in
criminologia conseguito a Londra in collaborazione con Scotland Yard e non di
meno che per un certo periodo fosse stato un funzionario del Sigurimi, la
polizia segreta albanese, durante la dittatura comunista.