un mondo sottosopra
si sta come d'autunno sugli alberi le foglie
giovedì 10 dicembre 2015
mercoledì 26 marzo 2014
Piccola, anzi piccolissima riflessione sulla felicità
Siamo sempre alla
ricerca della felicità, per noi stessi. La invochiamo come legittimo diritto,
innegabile e della quale siamo spesso derubati o per la quale subiamo soprusi.
Tutto giusto, la
felicità è un sacrosanto ed inviolabile diritto.
Ma se per una
volta provassimo a ribaltare la situazione?
E se invece di
chiederla provassimo a donarla?
Con un sorriso,
con una carezza, con una parola…
In fondo tutto quello che doniamo
è nostro per sempre, non ce lo possono portare via.
Quindi, regaliamola, elargiamola, dispensiamola, doniamola! A quantità.
martedì 22 ottobre 2013
lunedì 2 settembre 2013
lunedì 27 maggio 2013
parte 21.2
Dirigendomi verso casa di Carla mi
chiedevo perché lo facevo, forse glielo dovevo? Fra noi era tutto finito, ma in
fondo le volevo bene ancora, ci siamo amati, non potevo rinnegare ciò che avevo
provato e quindi non potevo far finire tutto nella totale indifferenza.
Eravamo stati l’uno la metà uno
dell’altra. Mi piaceva questa definizione, e la sentivo quanto mai vera e mia.
Cerchiamo
la nostra metà anche per tutta la vita, è la meta del nostro viaggio sulla
terra.
Non sono un credente nel senso
strettamente religioso, ma credo nello spirito, magari strettamente legato al
fisico, in ognuno di noi c’è una spiritualità, che poi ognuno gli dà il nome
che preferisce. Secondo me, la metà che cerchiamo non è un qualsiasi partner, o
moglie, o amante è proprio la meta che ci manca, la parte che ci completa. E’
come se alla nascita qualcosa di noi si fosse scissa e finita chissà dove. Noi
la cerchiamo, la dobbiamo trovare, ma deve essere quella, non una qualsiasi.
Come due pezzi di un puzzle.
Altrimenti non saremo mai completi.
Né contenti.
Io l’avevo trovata e poi perduta.
Porcaccia
la miseriaccia…
Stavo per attraversare la strada
senza guardare, distratto dai miei pensieri pseudo-neuro-psico-filosofici che un autobus mi
sfiorò il naso di pochi centimetri. Forse anche qualche cosina di meno: dovevo
smetterla di farmi pippe mentali! E dovevo svegliarmi! Cazzo!
parte 21.1
Sweet home Alabama vibrava e
suonava dalla mia tasca. Dal display del telefonino lampeggiava il nome di
Carla. Lo guardai per un po’. L’ultima volta che ci avevo parlato era in
ospedale. E troppe cose erano successe. O sfuggite di mano. Non avevo voglia di
parlarle. Premetti il tasto rosso che mi negava all’interlocutore. Continuai la
conversazione con il mio amico Graziano Graz the Ganz e una delle sue tante amiche.
Bravo lui: non si innamorava mai. Di nuovo il telefonino, di nuovo i Lynyrd
Skynyrd con Sweet home Alabama, di nuovo quel nome che volevo scordare. Questa
volta premetti il tasto verde, avrei voluto dire solamente brutte parole.
“Pronto” dissi con voce scocciata.
“Almir era qui…” poi singhiozzi.
“Natasha la mia collega è morta…anzi no… l’hanno uccisa”
Poi un pianto.
“Carla spiegati, cos’è successo?”
Ancora pianti
“Carla, dimmi come stai ora, ti
hanno fatto di nuovo del male?”
“no… no… sto bene, ma Natasha…
l’hanno uccisa, ovvero è morta, ma sono convinta che sono stati loro.”
“Gli albanesi?”
“Sì”
“Dove sei Carla?”
“ A casa…”
“Ed Almir cosa ti ha fatto?”
“Niente… è stato gentile… anche se
la sua gentilezza era… alquanto minacciosa.”
“Vengo da te…”
Chiusi il telefonino.
Forse non aspettavo altro che
pronunciare quelle parole, o forse glielo dovevo. Probabilmente tutte e due le
cose.
Mi rivolsi a Graziano e gli dissi
che dovevo andare.
“ Problemi?”
“ Sì, e parecchi a quanto sembra.”
“ Posso aiutarti?”
“ Adesso no.”
“ Se ti servo, chiamami.”
Lo ringraziai. Anche se lo avrei
mandato al diavolo: in parte era colpa sua di tutto ciò, fu lui a portarmi per
la prima volta al Venezuelos.
parte 20.2
Il campanello di casa suonò due
volte.
Solo
il male imperterrito risorge ovunque.
Carla si chiese chi avrebbe potuto
essere.
Si diede una sistemata veloce ai
capelli e chiuse la zip della giacca della tuta di ciniglia che indossava.
Si avvicino alla porta e chiese chi
è.
Rispose una voce roca: “fiori”.
Guardò fuori attraverso lo
spioncino della porta. Vide solamente un sterminato mazzo di rose rosse.
Aprì la porta a quella che sembrava
una promessa d’amore.
Ma dietro ai fiori un sorriso già
conosciuto, uno di quelli che non puoi dimenticare, uno di quelli che ti fa accapponare
la pelle.
“Buongiorno principessa”.
Era Almir.
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