martedì 26 giugno 2012

parte 3.1


Un’altra alba si approntava ad essere. Al centro delle vie luci bianche e rosse trasportavano facce assonnate di chi come me dopo una lunga notte mischiata all’alcool si preparava ad andare a dormire e di chi dopo un sonno mai sufficiente si preparava a ricominciare con le prime luci della mattina una cupa giornata. Ognuno con una sua storia tanto diversa quanto uguale a tutte le altre. Le storie degli uomini parlano di promesse e di tradimenti. Di vita e di morte.
Avevo conficcato in testa un ipotetico filo spinato, mentre l’alcool che avevo buttato giù durante la notte si ribellava. Il corpo umano è un organo molto democratico, vince la maggioranza, cosicché i signori Daniels, Martini, Bacardi e altri di cui i nomi non sapevo e non mi era mai importato di sapere, ebbero la meglio su di me. E sulle mie budella. Ma questo era solamente l’effetto, non la causa del dolore che portavo. La causa era un viso che non avrei mai visto ed un corpo che mai avrei abbracciato. Conoscevo solo un nome: Samuele.

Un giorno, mentre facevamo l’amore, scherzando su possibili rotture del profilattico, decidemmo per questo nome di origine e ebraica che vuol dire il suo nome è Dio, per un ipotetico nostro figlio. Il nome lo scelse lei ed a me suonava bene. Poi, ci sono momenti in cui non so dire di no…

Non sono mai riuscito a credere in un Dio, a qualcuno o qualcosa che avesse creato l’universo e gli uomini. Non so se è una questione che mi manca la fede o perché  sono troppo razionale. Ma credo in una cosa: la creazione di una nuova vita è magia, è potere, potere assoluto: onnipotenza. Non mi sono mai capacitato di come l’unione di due corpi possano creare una nuova vita. Forse, se Dio esiste, è dentro l’amore e l’unione di due persone.

Ora, chi portava il nome di Dio era morto. Anzi, mai nato.

istruzioni per l'uso

Tutti i post "parte" seguiti da un due numeri intervallati da un punto (es. parte 2.1) vanno letti in ordine numerico partendo da 1.1 , in quanto si tratta di una storia in lavoro e l'utilizzo del doppio numero mi permette in corso d'opera approfondimenti eventuali.

lunedì 25 giugno 2012

parte 2.3


Mi chiamò in disparte un medico. Entrammo in una saletta austera, un tavolo due sedie ed un lettino, non si sedette, io nemmeno. Era giovane e dai movimenti impacciati, sembrava stanco e trasudava la sua voglia di essere da un’altra parte. Capii che non aveva buone notizie. Stringato mi disse che Carla non aveva subito danni permanenti ma, asserì, che i colpi ripetuti ricevuti in pancia hanno fatto sì che il bambino non ce l’avesse fatta ed è stato d’obbligo un aborto d’urgenza. Mi salutò dispiacendosi ed asserendo che aveva fatto tutto il possibile. Non riuscì a dire una parola, ero impietrito, dovevo metabolizzare troppe cose, restai per un po’ immobile in quella stanza che sembrava volesse schiacciarmi. Come può essere un magnaccia padrone e tiranno di tre vite fino ad ucciderne una?
Mi immaginai la scena in cui Tacos picchiava Carla. Ed il mio bambino. Mi chiesi quanto lui potesse sapere. E quanto avesse appositamente piazzato i colpi in pancia. Mi montò una rabbia funesta, ero furibondo, non so con chi di più: con Carla che aveva dentro di se una vita che era anche mia e nulla mi aveva detto, o con chi tutto aveva tolto a tutti?
Carla stava dormendo, le luci al neon erano di colpo diventate accecanti, l’odore acre dei disinfettanti mi diedero il voltastomaco, decisi che era meglio andarmene.
Avevo bisogno di conforto. Non sapevo chi potesse darmelo. Credo che siano questi i momenti in cui le persone si aggrappano alla fede, ad una qualunque. Così anch’io, mi aggrappai ad una: a quella del Dio Bacco. O perlomeno a ciò che lui portò in dono agli umani.

parte2.2


Mi ero appena finito di asciugare i cappelli che squillò il cellulare. Pensavo che fosse Carla. O lo speravo. Numero sconosciuto. Risposi. Una signorina mi confidava che era un’infermiera dell’ospedale e che avrei dovuto passare presso il loro reparto prima possibile anche se non era urgente. Era evidente che le due cose erano in disaccordo. Doveva essere solo un modo gentile per non farmi preoccupare. Presi lo scooter e mi precipitai là dove mi richiedevano.
“Sono Giovanni Novembre, mi avete poc’anzi…”
Non riuscii a finire la frase.
“Si, venga con me.”
Percorremmo tutto il corridoio, che in quel momento doveva essere lungo almeno qualche decina di chilometri, tanto mi sembrava interminabile. Entrammo in una stanza con due letti, di cui solo uno era occupato. Mi ci volle una frazione di tempo apparentemente infinita per capire che la persona tra quelle bende e quei tubicini di plastica era Carla.
Capii immediatamente: Tacos, il suo magnaccia, aveva riservato a lei lo stesso trattamento che aveva fatto a me. Ma a Carla andò decisamente peggio.
“Amore…”
Si rivolse a me con una voce fievole. Gli occhi mi s’ inumidirono. Corsi al suo fianco. La mia mano prendendole la sua rispose che c’ero. I cattivi pensieri della sera prima se n’erano andati.
“E’ stato Tacos? Vero?”
“Non pensarci”
“Questa volta è troppo”  risposi guardando verso la finestra come per cercare un arma.
“Questa volta lo uccido quel figlio di puttana”
Carla scoppiò a piangere. Quell’ultima parola per la prima volta le fece male.
Ricordo che altre volte, in migliori situazioni, le piaceva che alternassi parole dolci a schifezze immonde, così come le piaceva che le accarezzassi i capelli e che poi glieli tirassi.
Le versai dell’acqua in un bicchiere e le baciai la fronte.
Si calmò.
L’acqua a volte fa miracoli.
Mi guardò intensamente. E mi strinse forte la mano. A volte le parole sono inutili e fuorvianti. Il suo sguardo era pieno di belle parole. I suoi occhi mi spogliavano.
Il fiele che portavo dentro si trasformò in vaniglia.
Sbaglia chi crede che il mondo giri su di un asse…

parte 2.1


Mi svegliai il tardo pomeriggio, i vestiti avevano un odore acido. Necessitavamo tutti di tanta acqua. E di altrettanto sapone. Barcollante ed intorpidito entrai ancora vestito nella doccia. Lavai vestiti, ferite, pensieri e rancori. Cercando invano, di sciacquare i sentimenti.
Mentre mi insaponavo parlavo con lei, o da solo. Non lo so. Davo i primi segni di squilibrio. O forse erano solo gli ultimi. Prima della pazzia.

giovedì 21 giugno 2012

Tempo invano

Non avevo voglia di tivù e pestavo tasti sul notebook alla ricerca di qualche vecchio brano musicale, di quelli che hanno un significato, non per forza legati ad un momento, ma anche ad uno stato di essere, ad un tempo fuggito, o solamente sfuggito. Sicuramente troppo presto e lasciando un senso di poco.

La musica è evocativa, permette di riassaporare momenti e vibrazioni passati come se fossero ancora presenti, come se ascoltandola e chiudendo gli occhi, si potesse essere padroni dello spazio tempo. 

Io cercavo invano di cambiare quel momento in cui lei poco più che bambina, di fronte a casa sua, non volle dirmi di sì.

Ma se c'è qualcosa contro cui la lotta è impari, è quella contro il tempo.

lunedì 18 giugno 2012

parte 1.3


Si trattava di Graz the Ganz, vecchio amico, eclettica persona e poliedrico professionista. Uno di quelli capace di fare bene qualsiasi cosa. So che aveva iniziato come elettricista, per poi fare l’impresario edile, essere viticoltore ed apicoltore a tempo perso, aprire una attività alberghiera per poi continuare con un centro Welness. Probabilmente aveva fatto ancora qualcosa. Sicuramente era anche un grande tombeur de femme; non per niente vicino a lui sedevano due splendidi esemplari di giovani femmine; un quadretto invidiabile: lui moro, loro una bionda ed una rossa. Ognuno statuario, a suo modo.
“Che ci fai qui in questo posto di perdizione Gio?”
“Sono di passaggio”
“Sembra che di passaggio ti sia montato sopra un Suv, amico mio.”
Avrei risposto che in realtà era un Panzer. Ma avrei dovuto dare spiegazioni che non intendevo fornire.
“Mangiato pesante”
“Allora ti serve un buon digestivo”
Si girò verso il banco ordinando un Jagermeister.
Bevuto in un solo sorso l’amaro che ricorda un gran cornuto sostenetti che era il mio preferito ( e che mi si addiceva perfettamente).
Affermai che il secondo giro era di mio compito.
Persi il conto dei secondi giri e delle risate fatte alle battute di Graz; non so fossero più per il mio diletto o se fossero per piacere ed il piacere delle due donne diversamente colorate. Ma uguali negli intenti.
Lasciai Graz alle promesse ammalianti delle due signorine. Arrivai a casa con un taxi, non ero nemmeno riuscito a togliermi gli stivali che caddi alle lusinghe del letto. Morfeo mi portò in dono Carla. O solo la mia nostalgia di lei: ero dietro al suo corpo svelato, le sue mani presero le mie ed adagiandole sul suo seno scivolarono lievi sui miei fianchi…

parte 1.2

 
Passi e risate stavano giungendo. Era tempo di rialzarmi. Mi sistemai alla meno peggio ed entrai nel primo bar: Taverna da Rino. Dovevo sciacquarmi il viso e vomitare. Aprii la porta del locale, educati anfibi scamosciati si contrapponevano a vertiginosi tacchi. Ho sempre pensato che l’altezza del tacco fosse una misura dell’invidia del pene. Scrutai sguardi e sorrisi delle signore dall’altezza surrogata per avere una scontata conferma. Arrivai al bagno giusto in tempo. Fortuna non c’era nessuno. I conati di vomito mi presero con la stessa violenza dei montanti appena ricevuti. Mi lavai il viso: la faccia che vedevo non era quella che avevo all’ultima scazzottata. Erano passati molti anni e sopraggiunti ancora più dubbi. Anche se la voglia di rivalsa era la stessa. Venni fuori dal bagno dirigendomi verso l’uscita e facendomi varco tra facce arrapate di tizi idioti e visi incipriati di donne in cerca di conferme: che fossero belle ed attraenti. O perlomeno desiderabili.
Una mano mi toccò la spalla. Per un attimo sperai che l’ora della vendetta fosse già arrivata. Con energia ritrovata mi girai, avevo un destro già carico, ma l’uomo davanti a me era un amico.

parte 1.1


Ecco cosa voleva dire innamorarsi di una puttana. Ero steso a terra in un angolo buio del ghetto. Strano posto questo, pieno di contraddizioni, ci sono vie fitte di bar e di persone in cerca di vita e di avventure  affiancate da altre vuote, così sospese nel tempo che sembra ancora di sentire i passi pesanti dei nazisti in cerca degli ebrei. Io ero in una di quelle ed un Panzer mi era appena passato sopra. Non capivo se il dolore allo stomaco che mi aveva messo KO era dovuto ai vari bourbon e tequila che avevo dato credito per scacciare ingombranti pensieri o a quei due calci assestati con maestria uno al fegato ed uno alla bocca dello stomaco. La faccia mi sanguinava. Doveva essere la conferma che quel bastardo di magnaccia mi avesse bastonato a dovere. Credo di aver piazzato anch’io un paio di colpi buoni, insegnatomi da un vecchio pugile professionista amico d’un tempo antico (anche se sono convinto che lui gli avrebbe assestati decisamente meglio). Di fatto, quello steso ero io. Il bastardo se ne era andato dicendomi qualcosa del tipo la prossima volta andrà anche peggio…
     Ero sfigurato nel volto. E deturpato nell’anima. Lei, Carla la ballerina, la ballerina di lap del Venezuelas, era nella mia testa. Non usciva. Non uscivano nemmeno le sue parole, i suoi sguardi, le sue mani su di me. Non era solo sesso. Almeno sicuramente non per me. E non potevo credere che ora potesse dire e fare le stesse cose con qualcun altro. O forse solo non lo volevo credere. No, non poteva dire a chicchessia  che era l’uomo più bello del mondo, non poteva stringere un altro come stringeva me, non poteva dire ad un altro che era l’uomo perfetto. E l’amante ideale. No. Non poteva. E non doveva. Cazzo!

Il cielo in una stanza

Mi immagino come sarai vestita
e ricordo come sei nuda.
Com'è zuccherina e vellutata la tua pelle
ed acerbo il tuo seno. 
Mi immagino cosa faremo. 
E so cosa toccheremo.

mercoledì 13 giugno 2012

Viaggi

Vorrei partire, 
forse solo per poter ritornare 
e ritrovare quello che ho perso.

Aspettami

Ora corro, 
non so verso dove, 
non so per quanto tempo, 
non so come, 
ma so che arriverò. 
Tu aspettami.

parole, parole, parole...

Zitta, non dire una parola,
mi bastano i tuoi occhi... 
e le tue rosse calde labbra...

Bianchi veli

In quel gioco malizioso fatto ad uso di quegli occhi che dai divanetti del night potevano solo guardare, l'aiutai a togliere le sue candide vesti lasciando posto alla sua pelle, che, nera come il peccato, si prendeva gioco e vincita da ciò che convenzionalmente appare come puro ed immacolato: il bianco. Come il male contro il bene. O solamente come i desideri reconditi che, solo in quel posto ai confini della civiltà, trionfano contro un ipocrita perbenismo.

Bella come il sole

Con un'espressione complice, occhi maliziosi ed un sorriso gioioso mi chiese se era spettinata.
 Le risposi di no. 
Ma persi l'attimo, avrei dovuto dirle che era splendida sempre, ma in quel momento, in lei c'era tutta la bellezza dell'amore. 

Guardami ancora

Non ero nulla finchè non mi sono visto attraverso i tuoi occhi.

cinque secondi

Mi manca. Mi manca ad ogni respiro, su ogni centimetro della mia pelle, in ogni strada che percorro. Il calar del sole porta l'insostenibile pensiero di lei. E' dentro la mia testa, prepotentemente; vorrei un cavatappi, uno sturalavandini, un trapano. O un whiskey, o qualsiasi liquido che prometta per cinque secondi un porto sicuro, un attracco via dalla tempesta, via dalla bufera che ha scatenato in me. Un ormeggio senza di lei, senza le sue parole, senza i suoi occhi. E senza il suo seno. Ma l'alcool porta le stesse vane promesse fatte in qualsiasi porto dai marinai.

Chi?

Lei non c'era.
O non è mai esistita.

Era solo il mio riflesso nel suo sguardo.
Quello che volevo vedere.
Quello che volevo sentire.

Ora la vedo con altri occhi.
Non è lei quella che mi diceva ti amo.
Non è lei quella che mi faceva sentire Dio.
 
 Ma allora perchè soffro per nessuno?
Chi mi manca adesso da morire?

Scelte

C'è chi ha il coraggio
di guardarsi negli occhi, per leggersi dentro..
di vedere il fondo dell'anima.. e non vomitarlo..
di sentire le urla del cuore.. e saperle ascoltare

C'è chi ha la forza
di lasciare parlare,
di ascoltare e non soffocare,
di decidere...

C'è chi ha la volontà
di gratificare la gioia
di affrontare la vita
di rinunciare a morire

.. è questione di scelte..
..come smettere di fumare   (JJ)

Questione di pelle


Ho voglia di mare e di sole. Voglio sentirmi accarezzare dal vento caldo e avvolgere dall’acqua salata. Desidero tuffarmi, mi piace sentire il mio corpo quando irruento entra nel mare, percepire la sua fresca accoglienza. Adoro nuotare sotto, isolarmi dalla superficie e dalla superficialità, dimenticare di respirare cercando di dimenticare lei, un’ultima bracciata poi uscirò… no ancora un'altra ed un’altra ancora… poi fuori, respirare forte, in debito di ossigeno.
E continuamente in credito di lei e della sua caramellata pelle.

martedì 12 giugno 2012

Anime gemelle

siamo anime gemelle... lo sento..
non ci accontentiamo della quotidianità... la normalità toglie il respiro..
preferiamo vivere.. anche se significa sanguinare.. (JJ)

Spiaggia

Inesorabilmente, come le onde sugli scogli, i nostri sogni si infrangono arrivando a riva.

in attesa

Non ho più nulla da offrire, mi è stato rubato il cuore ed ho venduto l'anima al diavolo.
Un posto all'inferno porta da tempo il mio nome. Intanto, nell'attesa dell'oblio, cerco di rubare piccoli attimi di eternità.

foto del profilo


E' davanti a me, indossa una canottiera nera sotto la quale i seni sono liberi di essere e di lasciarsi immaginare, le spalle nude ed il sorriso aggraziato parlano di lei. Mentre i suoi occhi mediterranei chiedono risposte. O forse solo conferme...

 

Panchina


Si sedette davanti a me. Nonostante un abbigliamento da barbone portava un’espressione da intellettuale, forse, data da un paio di occhialini da vista tondi stile John Lennon. Aprì un sacchetto di nylon con dentro alcune noci ed una improbabile bibita che sembrava passata di pomodoro alquanto annacquata. Era il suo pranzo.
Provavo vergogna. O paura… Credo tutte e due.
Vergogna per tutte quelle cose superflue che possedevo. Per tutte quelle cose che potevo fare a meno di avere. E che per lui  poteva dire semplicemente pranzi e cene decenti e sicure e per chissà quanto tempo. Paura perché mi rendevo conto che il benessere è solo questione di fortuna, una monetina lanciata in aria… testa o croce. Ma la fortuna gira. Oggi stai bene, domani invece puoi ritrovarti sotto un ponte. Proprio come lui.

Mc... eyes.


La vidi per caso, nel caos di una paninoteca americana, lei era seduta quasi davanti a me, era vestita di quella dignità che ha una madre che antepone a se stessa i propri figli. Le tre bambine che stavano con lei erano sicuramente le sue figlie, differenti tutte nei tratti, ma portanti una caratteristica che le conferivano a pieno titolo il grado di una parentela stretta con la donna accanto a loro: portavano tutte e tre gli occhi del mare della madre. 

Mare di un azzurro profondo, dentro nei quali annegare era una promessa che facevano a chiunque si fosse soffermato a guardarli.

lunedì 11 giugno 2012

La città della bora


Io sto bene, il lavoro procede, viaggio molto e conosco gente.
Ma come ritorno nella mia città una sensazione di nostalgia mi pervade. Così succede che lascio sempre una finestra aperta, non si sa mai chi può portare il vento.
In fondo siamo a Trieste, la città della bora.